QUARTO POTERE 3.0

di Vera Viselli

È il 6 giugno 2013 quando scoppia, in America, il caso Datagate: attraverso alcune inchieste giornalistiche ad opera di Glenn Greenwald (giornalista del The Guardian) vengono rivelati dettagli sulle operazioni di sorveglianza di massa, messe in atto dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale statunitense (NSA). Queste operazioni fanno riferimento ad un programma di sorveglianza monumentale messo a punto dai Five Eyes: le cinque, potentissime agenzie segrete di Australia, Canada, Nuova Zelanda, Usa e Regno Unito. Milioni di utenti, in tutto il mondo, vengono costantemente monitorati attraverso Prism, Tempora, Boundless Informant, XKeyscore, Dropmine, Turbine (software e botnet pre-installati nei server e nei vari dispositivi prima di essere messi a disposizione degli acquirenti) che si infiltrano nei social, nei giochi ed in ogni genere di portale. L’autore di queste rivelazioni è Edward Snowden, ex tecnico della CIA e, fino al 10 giugno 2013 collaboratore della Booz Allen Hamilton (azienda di tecnologia informatica consulente della NSA).
È il 10 maggio del 2012 quando, negli Stati Uniti, va in onda il 22.mo episodio della prima stagione della serie televisiva Person Of Interest1, intitolato “No Good Deed”: Henry Peck è un analista finanziario di 33 anni, la sua società è una SCIF (una Struttura Compartimentata d’Informativa Sensibile), un’installazione del governo usata per proteggere dati riservati. Quando Henry scopre che la sua agenzia sta conducendo una sorveglianza illegale su vasta scala, organizza un incontro con i giornalisti, ma presto una squadra governativa di assassini tenta di metterlo a tacere.
Un anno prima delle rivelazioni giornalistiche di Greenwald, Person Of Interest non solo ha riproposto, in chiave attuale, una delle più grandi paure del mondo postmoderno (la perdita della privacy, il mondo alla 1984 già ampiamente descritto da Orwell), ma ha addirittura anticipato la figura del protagonista stesso, lasciando così alla regista Laura Poitras il compito di scrivere il capitolo successivo della vicenda-Snowden. Ma forse non è proprio esatto dire che è stata lei a scegliere di occuparsene: è stato Snowden a sceglierla, contattandola attraverso messaggi criptati con la firma Citizenfour perché ha visto in lei una persona estremamente informata sui fatti. Nel 2006 la regista aveva girato My country my country sulla guerra in Iraq e del 2010 è The Oath, un documentario in cui le storie dei personaggi si incrociano con Guantanamo ed Al Qaeda e questo terzo documentario, con protagonista Edward Snowden, va a chiudere la trilogia della Poitras sugli Stati Uniti d’America post-11 settembre. CITIZENFOUR, vincitore dell’Oscar 2015 come Miglior Documentario e distribuito in Italia da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection, non è però semplicemente un documentario biografico. Ci troviamo di fronte a qualcosa di talmente attuale – e per questo in continuo divenire – da doverlo riconsiderare: forse è più un thriller politico in tre atti, con un certo sapore hitchcockiano in aggiunta a sequenze da spy-story, finendo come cinéma vérité.

6_Poitras_CITIZENFOURNel primo atto, assistiamo ad un estraneo che2contatta elettronicamente Laura Poitras, con la premessa (e promessa) di farle delle rivelazioni di portata mondiale. Il secondo atto si apre con l‘immagine di un tunnel nero e di luci lampeggianti accelerate dalla macchina da presa (che sembra ricalcare una certa inquietudine lynchana) e procede – cronologicamente – con gli otto giorni di permanenza all’hotel Mira di Hong Kong, in Cina (siamo nel giugno 2013), dove la regista, insieme ai giornalisti Glenn Greenwald ed Ewen McAskill, intervistano Snowden.
Inizialmente l’informatico occhialuto mostra un controllo oltremodo snervante, data la situazione oppressiva che è costretto a subìre: l’accettazione del cambiamento totalizzante cui è sottoposta la sua vita può definirsi serafica, sembra così calmo nel dichiarare di essere perfettamente consapevole di non poter ritornare in America, vedere la sua fidanzata o contattare la sua famiglia.
Con il passare dei giorni, però, l’ansia inizia a crescere: alla reception arrivano telefonate da parte dei media; durante l’intervista scatta, improvviso ed inaspettato, l’allarme antincendio dell’hotel, mettendo tutti in massima allerta, e man mano la stanza si fa sempre più claustrofobica.
È proprio questa, la camera d’albergo, il cuore pulsante del film: come se avesse dinanzi a sé una delle innumerevoli telecamere di un reality show, lo spettatore si trova nella stessa condizione (scopofila) di Norman Bates, quando osserva la sua vittima dal buco della serratura: è come se stesse spiando un incontro privato di grande importanza politica, sapendo sì di non essere visto ma comunque con qualche piccola avvisaglia di colpevolezza.
Il terzo ed ultimo atto mostra il caos consequenziale degli accadimenti, che riguardano sia Snowden (costretto a lasciare l’hotel) e sia Greenwald, alle prese con gli effetti della pubblicazione della sua inchiesta, ma nonostante tutto non disdegna una vena drammaturgica nel finale, con lo scambio di ‘pizzini’ tra i due, in un’altra stanza d’albergo, questa volta a Mosca.
Ecco, quindi, come questi tre atti arrivano a ribaltare completamente le regole classiche del documentario: Snowden non risulta essere l’oggetto passivo dell’indagine filmica, ma ne è l’artefice, il regista stesso2, decidendo come, quando e a chi rivelare le informazioni in suo possesso, quasi a guidare in prima persona una caccia al ladro che riguarda però se stesso.
L’immagine del burattinaio va quindi a fondersi con quella dell’adolescente-supereroe che indossa il suo mantello magico quando deve digitare sulla tastiera del computer la sua password – un’immagine, questa, che sembra racchiudere l’insegnamento dell’intera vicenda: «non abbandonare l’idea che le nostre parole possano essere segrete» (The New Yorker), anche se la Macchina di Person Of Interest ci sorveglia. Tutti.

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