SATRICO E IL TEMPIO DELLA MATER MATUTA

di Giorgio Ippoliti

Il sito archeologico di Satrico è collocato nel territorio nord-ovest della città di Latina, nella zona di Le Ferriere. La relativa città doveva trovarsi posizionata abbastanza vicino al mare e prima dell’inizio delle paludi pontine.
Satrico fa la sua prima apparizione nella storiografia nel 499 o 496 a.C. in un elenco di città che si erano ribellate a Roma; la troviamo quindi nel suo ruolo anti-romano che la caratterizzà sino al suo declino nel 346 a.C. Ma già nel VII e e particolarmente nel VI secolo a.C. Satrico era un ventro di notevoli dimensioni e, dopo Alba, è la più notevole delle città morte del Lazio antico.
Sulla base della sua prosperità culturale, si può affermare che Roma ricevette l’influenza della Campania attraverso il filtro di Satrico; questa città era, inoltre, posta lungo una grande strada che da Politorium, Lavinio, Ardea, Terracina, conduceva sino alla Campania ed era anche a poca distanza dal porto di Anzio.
Sin dall’inizio del periodo romano repubblicano, Satrico era posta in un territorio che per oltre un secolo fu teatro delle lotte tra i Romani, i Latini e i Volsci.
Il console Servilio tolse al dominio dei Volsci la città di Pomezia, vicina a Satrico, nel 495 a.C., mentre nel 488 a.C., numerose città latine, tra cui Satrico, caddero nelle mani dei Volsci. Le fonti letterarie non ricordano Satrico sino al 393 a.C. allorché essa, assieme a Velletri, si ribellò a Roma nel 396 a.C.
Satrico rappresentò il più importante baluardo dei Volsci che, peraltro, vi furono sconfitti dal console Furio Camillo. Nel 385 a.C. fu fondata a Satrico una colonia romana con l’insediamento di duemila cittadini romani; nel 382 a.C. la colonia fu riconquistata dai Volsci. Quando nel 377 a.C. Satrico fu distrutta, lo fu per opera non dei Romani ma dei Latini: l’intera città fu distrutta con la sola eccezione del tempio della Mater Matuta (Livio, VI, 32). Nel 349 a.C. i Volsci anziati ricostruirono la città che divenne una loro colonia. Nel 346 a.C. Satrico fu infine nuovamente distrutta per opera del console M. Valerio Corvo ma, anche in quest’occasione, il tempio della Mater Matuta fu risparmiato dall’incendio (Livio, VII, 27). Satrico non si risolleverà più anhe se apparirà ancora nella storiografia romana: l’ultima volta che viene ricordata è nel 201 a.C., sempre in relazione al suo tempio, che sappiamo essere stato distrutto da un fulmine nel 207 a.C.
Tra il 1896 e il 1950 vennero effettuati alcuni saggi di scavo, finché, nel 1974, venne creato il Comitato per l’Archeologia Laziale con lo scopo di difendere il patrimonio archeologico del Lazio, fino ad allora scarsamente seguito, con l’assegnazione della ricerca su Satrico all’Istituto Olandese di Roma. Prima del 1977, data di inizio degli scavi dell’Istituto Olandese di Roma, non vi era nessuna pubblicazione dedicata al sito di Satrico, se non la relazione preliminare scritta nel 1896 dagli archeologi F. Barnabei e A. Cozza.
L’area di Satrico si ricollega a pratiche cultuali iniziate nel paleolitico e di esse rappresenta l’ultimo anello di una lunga catena che, nel territorio pontino, è ben presente con numerose testimonianze. La frequentazione di un certo territorio è sempre quasi interamente documentata attraverso culti praticati dalla popolazione residente. Nel territorio pontino abbiamo altre due testimonianze di riti o cerimonie cultuali: il cranio neandertaliano della grotta Guattari a San Felice Circeo (rinvenuto da Blanc nel 1939, esso si trovava all’interno di un cerchio di pietre, in una zona appartata della grotta) risalente al paleolitico superiore; l’uomo a fi dipinto in ocra (rinvenuto da Breuil e dal Blanc nel riparo arnale dei bufali in territorio di Sezze, lungo l’attuale S.S. 156), risalente al mesolitico.
Il tempio di Satrico, nella sua fase latino-romana, era dedicato alla dea Mater Matuta; il suo nome proprio era Mater mentre il suo specifico predicato era quello di Matutina, divenuto poi nel tempo Matuta: presiedeva agli inizi, all’aurora e quindi proteggeva le gestanti, i neonati e in genere era benaugurante per l’intrapresa di qualunque positiva attività1.
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È interessante quindi notare come sia possibile stabilire la continuità del culto su uno stesso luogo, dall’VIII secolo a.C. sino al 207 a.C. Possiamo facilmente rilevare che il tempio dedicato alla Mater Matuta ha avuto quattro fasi distinte.
La realizzazione della capanna risale all’anno 750 a.C. ed è documentata dall’esame dei frammenti in ceramica rinvenuti e che confermano la datazione; essa era profonda circa 1 metro, si estendeva per 6,88 metri in longitudine e per 4,38 metri sul lato corto. Presentava una stratigrafia di materiali di riempimento costituito alternativamente da sabbia gialla, terra mischiata e tracce di fuoco; l’elemento che indicava il carattere sacro della capanna era rappresentato dalla presenza di un buco profondo, il mundus, che serviva per le libagioni, posto all’esterno della capanna stessa.
Il suo utilizzo è stato fissato fino all’anno 650 a.C.; in sua sostituzione, attorno a questa data è avvenuta la costruzione del sacellum. Era questa una costruzione che misurava 6×12 metri, coperta da un tetto di tegole rosse ed una tettoia davanti all’ingresso; l’utilizzo di queste tegole rosse è confermato dal ritrovamento di una tegola di simile tipo riadoperata nelle fondamenta del primo tempio.

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Dall’esame dei muretti che delimitavano l’edificio, gli archeologi hanno rilevato una duplice possibilità circa il tipo di costruzione che si presta alla presenza di un tempietto a pronaos con una sola stanza, la cella, con ingresso a est con portico a colonne oppure di una costruzione del tipo a adyton; in questo caso vi sarebbero due stanze di cui una era la cella con uno specifico uso cultuale. Dall’esame del contenuto della stipe votiva, rinvenuta all’interno del recinto del santuario, si è verificato che l’uso del sacello non è andato oltre l’anno 550 a.C.
Arriviamo dunque all’esame di quello che è chiamato Primo Tempio; la terza forma assunta dal tempio di Satrico dopo la capanna e il sacello. Abbiamo una costruzione che conserva l’orientamento sud-ovest, ma ha già tutte le caratteristiche dei santuari etrusco-italici presenti nel Lazio; le sue dimensioni (17 x 27 metri) sono ben più rilevanti del sacello: la pianta è divisa in due ambienti, quello più vasto, la cella, destinata a contenere la statua della divinità, l’altro di minori dimensioni, il pronao. Il tutto è circondato da un colonnato peripteros sine postico, realizzato su tre lati lasciando libero quello posteriore.
Assume importanza particolare la cura posta nella costruzione del tetto a doppio spiovente in travi di legno ricoperti da tegole (piatte) e coppi (curvi); appare interessante l’uso di applicare all’ultimo coppo, quello nella parte inferiore del tetto e quindi visibile dal basso, una lastra di terracotta; questa, detta antefissa, può assumere varie forme e essere decorata con pitture e rilievi. Gli scavi del 1896-98 hanno permesso di trovare 90 antefisse integre che ben rappresentano la capacità creativa e decorativa delle maestranze addette alla costruzione del santuario; le caratteristiche delle antefisse qui ritrovate sono in parte diverse da quelle in uso negli altri tempi etrusco-italici, tanto da far ritenere che esse possano essere riferibili non solo al tempio, bensì anche a qualcuno degli edifici circostanti.
Dopo circa cinquanta anni, intorno al 500 – 480 a.C., il tempio fu distrutto a seguito di un avvenimento storico difficile da identificare; quello che viene indicato come Secondo Tempio è, quindi, il luogo di culto che ha avuto una vita più lunga rispetto a quelli che lo hanno preceduto: nell’anno 207 a.C., come ci racconta Livio, esso sarà colpito da un fulmine, ma soltanto nel corso del I secolo a.C. sarà definitivamente abbandonato come attestato dalle offerte votive ritrovate.
Il secondo tempio si distingue dall’edificio di culto che lo ha preceduto, innanzitutto nella sua maggiore grandezza di 21 x 34 metri (seppur occorre tenere conto delle difficoltà di misurazione determinate dall’intervenuto sgretolamento dei blocchi di tufo che non consente di essere più precisi). Altra differenza tra i due templi è data dalla variazione della direzione dell’edificio che si presenta ora perfettamente orientato verso sud-ovest. Il secondo tempio, inoltre, presenta un podio più elevato e la presenza di colonne su tutti e quattro i lati (peripteros).
Tutto questo gli conferisce un’impronta greca propria di quel periodo in cui le maestranze etrusche non operavano più a Satrico ed erano state sostituite da quelle greche, più abili delle maestranze locali.
Infine, un’ultima differenza tra i due templi è testimoniata dalla diversa forma e raffigurazione che viene assunta dalle antefisse; mentre nel primo tempio esse seguivano le regole precise di inquadramento nella tipologia degli altri templi laziali, nel secondo tempio le antefisse sono vere e proprie maschere mitologiche: abbiamo teste di guerriero, di Giunone, di Zeus, rappresentazioni di arpie, di sileni, di menadi e di altre figure mitologiche. Nella loro realizzazione più importante le antefisse sono rappresentate a figura intera assumendo quasi una forma tridimensionale, pur rimanendo sempre agganciate alla lastra che le sostiene.
Si ricordano, inoltre, nell’ambito della ricerca archeologica dedicata a Satrico, il ritrovamento del lapis satricanus e di varie tipologie di necropoli, importanti testimonianze che qui non approfondiamo per motivi di spazio.


Note

1 Poeti e scrittori latini hanno dedicato molta attenzione alla dea; in particolare Lucrezio, nella sua opera De rerum natura: «Parimenti a un’ora fissa Matuta diffonde la rosea/ aurora per le plaghe dell’etere e propaga la luce,/ o perché lo stesso soe, che ritorna di sotto la terra,/ occupa prima il cielo coi raggi tentando di accenderlo,/ o perché fuochi si raccolgono e molti semi/ di calore sono soliti confluire a un’ora fissa/ e fanno che ogni giorno nasca la luce di un nuovo sole;/ così è fama che dalle alte cime dell’Ida/ fuochi sparsi si vedano al sorgere della luce,/ poi s’uniscano come in un globo e formino il disco di sole.» (Lucrezio, La natura, Garzanti libri, Milano 2008, V, 656-665, p. 295).

Bibliografia

AA. VV., Satricum – Una città latina, Alinari, Firenze 1982.
AA. VV., Satricum. Un progetto di valorizzazione per la cultura e il territorio di Latina, Atti del convegno tenutosi il 5 febbraio 1983 presso la sala conferenze delle mostre Storia di ua città e Satricum una città latina, Comune di Latina, Latina 1983.
F. Barnabei, A. Cozza, Di un antico tempio scoperto presso Le Ferriere nella tenuta di Conca dove si pone la sede della città di Satricum – Estratto dalle Notizie degli scavi di gennaio 1896, Tipografia della R. Accademia dei Lincei, 1896.
A. Cassatella, S. Ceccarelli, R. Lulli, (a cura di), Satricum – la storia e le testimonianze, S.I., s.n., 2006
A. Cassatella, S. Ceccarelli, R. Lulli, (a cura di), Satricum – archeologia e topografia, S.I., s.n., 2006
P. Chiarucci, T. Gizzi, Area sacra di Satricum – scavo e restituzione, catalogo della mostra al Museo Civico di Albano Laziale, Paleani editore, 1985.
B. Heldring, Satricum una città del Lazio, Satricana 1 – Coop. Satricum di Borgo Montello e Nederlans Studiecentrum Voor Latium, Campoverde 1987.
C.M. Stibbe, G. Colonna, C. De Simone, H.S. Versnel, Lapis satricanus, Istituto Olandese per gli studi archeologici di Roma, Scripta minora, Roma 1979.
C.M. Stibbe, Satricum ed i Volsci, Satricana 2 – Fondazione Centro di Studio Olandese per il Lazio, Tondestraal 1991
H.S. Versnel, Satrico e Roma – l’iscrizione di Satrico e la storia romana arcaica, Satricana 3 – Fondazione Centro di Studio Olandese per il Lazio, Tondestraal 1991.
D.J. Waarsenburg, Satricum, cronaca di uno scavo, Fratelli Palombi Editore, 1998.

 

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