IN SENO A UN FIGLIO DI NIOBE: UN SEGRETO BEN CUSTODITO. INCONTRO CON ÉLISABETH LE BRETON // ACCADEMIA DI FRANCIA – VILLA MEDICI – ROMA

report di Rosa Pascale // fotografie di Fabiana Calvo

In fatto di antichità o d’archeologia,

esiste solo una regola critica, che,

del resto, vale in molti altri generi:

ed è procedere dal conosciuto allo sconosciuto.”

ANTOINE CHRYSOSTOME QUATREMÈRE DE QUINCY

Quel che si perde si deve recuperare. Ognuno completerà come può completare: c’è chi si oppone a una visione fratturata – o frantumata – della realtà, e dunque cerca soluzioni, integrazioni, costruzioni, conclusioni. Non sono operazioni facili e immediate. Non si restaura dall’oggi al domani: la diminuzione deve essere sviluppata, la sottrazione completata, e il danno riparato.

Su questo verte lo splendido lavoro di Élisabeth Le Breton, conservatrice del Patrimonio del Dipartimento delle Antichità greche, etrusche e romane al Museo del Louvre, applicato in quest’occasione sulle collezioni di gessi presso l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici. La stessa giovedì 13 febbraio, ha proposto al pubblico un incontro dedicato ad una delle opere esposte in mostra: Il figlio di Niobe.

La storia che ha permesso di concepire la mostra dei gessi, che non aveva mai avuto luogo prima, ha un che di rocambolesco, è stata, in fondo, un’avventura: un cerchio che si apre e si chiude. Si tratta di una vicenda che ci fa l’occhiolino, che ci vuole attenti, vigili, pronti ad ascoltare e a rimanere sbalorditi, tra gli appunti e le impressioni che ho fissato a caldo sulla carta.

Il figlio maggiore di Niobe è il gesso protagonista dell’evento. Appartiene a un gruppo di nove pezzi, che comprende anche dei multipli che non sono stati esposti. Le Breton ci racconta che la scultura in questione è un pezzo che ha molto sofferto in passato, come del resto hanno sofferto moltissime altre opere dell’Accademia di Francia. Il gesso, un tempo, era considerato un materiale nobile, come il marmo, poi è andato via via a perdere valore. Molte opere, infatti, venivano riposte e trattenute in uno scantinato, chiamato il grottone, un luogo molto umido e per niente adatto alla conservazione delle statue.

La statua del figlio maggiore di Niobe non è qui da sola. È qui con i suoi fratelli. È stata salvata.

Mi colpisce e mi commuove l’utilizzo del lessico umano nei confronti di un’opera in gesso, Le Breton ne parla come se parlasse di un essere senziente. È veramente toccante e indice di una grande passione. Le Breton ci racconta la grande vita mutilata delle statue, ci dice che sono sopravvissute ai sotterranei, nonostante l’umidità, nonostante l’abbandono, nonostante la rovina.

È una storia che accomuna quasi tutti i gessi antichi, abbandonati e messi continuamente da parte un po’ ovunque in Europa, anche nelle collezioni francesi. Una noncuranza che ha portato ad una mancata necessità di restaurarne la storia – oltre alla materia – che passava sotto silenzio.

È evidente, a questo punto, l’importanza clamorosa de Il Galata Morente, visibile nella prima sala della mostra, che è stata la chiave per datare l’intero gruppo: la statua ha fornito tante informazioni anche, e direi soprattutto, nel suo essere rovinata. Le parti del volto – una vera e propria chiave di lettura – presentano delle cuciture molto spesse, svasate, singolari rispetto al suo tempo, antecedente al 1688.

Nella sala de Il figlio maggiore di Niobe, osservando la statua, mi chiedo perché sia posizionata di profilo e non frontalmente. Le Breton scioglie i miei dubbi: si tratta di un’opera fragile, è difficile da spostare, e che, inoltre, posizionata così può mostrare con orgoglio le sue ferite. Una chiave di lettura infinitamente poetica.

L’intcontro mi fa tornare alla mente la statua di Niobe, che ho potuto ammirare qualche tempo fa agli Uffizi di Firenze. Ricordo il suo sguardo atterrito e supplichevole verso il cielo, mentre tenta di proteggere la figlia più piccola. Sono stata a fissarla un’eternità. L’ho fotografata da ogni angolazione possibile.

Nell’antichità tutte le opere venivano messe in scena: una splendida rappresentazione del mito di Niobe è l’incisione di François Perrier, che ritrae i quattordici figli di lei, con teatralità drammatica, colpiti a morte e in fuga da Apollo e Artemide.

Come ogni gesso, i singoli soggetti del gruppo dei Niobidi sono fatti di varie parti; le parti rovinate presentano delle lesioni che Le Breton chiama aperture. È molto forte questa immagine simbolica: le figure umane come fossero buchi.

Nel trasporto legato ai fini espositivi Il figlio maggiore di Niobe viaggia aperto. Un tempo era mantenuto assieme da nastro adesivo, per paura che si potesse “aprire” da un momento all’altro.

Durante il restauro, ha raccontato la curatrice, si tende a non aprire ulteriormente la statua. Tuttavia in questo caso è andata diversamente. Il figlio maggiore di Niobe, ferito, presenta cuciture marcate, con le crepe in vista. Sono indizi come quelli de Il Galata Morente. Alcune parti non si possono nemmeno pulire perché si rischierebbe di danneggiare l’opera.
È inevitabile: la storia è fatta dagli intrepidi. Alla fine hanno aperto l’intera statua a metà. Le Breton racconta che è stato una sorpresa inimmaginabile: aprendo, si è scoperta una data, 1686. Tutto questo accadeva poco fa, la scoperta risale all’ottobre scorso. C’è ancora molto da lavorare ma, ad oggi, la datazione non è più contestata.

Il figlio maggiore di Niobe è l’unica statua a essere stata aperta. Avrebbero potuto aprire anche i suoi fratelli e le sue sorelle, ma hanno scelto di non farlo. Per ora, solo di lei conosciamo l’enorme segreto, che porta appresso l’emozione di trovarsi in una stanza assieme a gessi sopravvissuti dal Sedicesimo secolo fino al ventunesimo. La stessa emozione di chi fa questo lavoro con passione e con passione racconta tutto quello che sa su un’Antichità moderna che arriva a farsi contemporanea, nella ricerca e nelle continue scoperte.

Un’Antichità moderna

In collaborazione con il museo del Louvre
A cura di Jean-Luc Martinez e Elisabeth Le Breton

Realizzata all’Accademia di Francia – Villa Medici

Viale della Trinità dei Monti, 1, 00187 Roma RM

https://www.villamedici.it/mostre/unantichita-moderna/

Dal martedì alla domenica 09:30-18

Biglietti: 6-12 €

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