PROCESSO A FELLINI

recensione di Silvia Mirabelli


È già finito lo spettacolo? Quanto è durato? Ero in un mio sogno o nel sogno del regista? Queste e altre mille domande si sono fatte strada nella mia mente dopo aver assistito a Processo a Fellini un progetto teatrale di Mariano Lamberti e Riccardo Pechini andato in scena dal 21 al 26 gennaio presso il teatro Off/Off di Roma.

Sì. Esatto. Dopo aver visto una rappresentazione teatrale durata un’ora e venti, che, nella mia percezione sono stati 15 minuti, oltre ad un profondo senso di smarrimento, avevo molte domande in testa, ma quella più forte, con l’eco più potente era: quindi… Giulietta Masina chi è?

Se volete una risposta che vi tranquillizzi, vi consiglio di cercarla su wikipedia, perché lo spettacolo non vi darà certezze, ma vi regalerà molto di più: nuove domande.

Lamberti e Pechini disegnano la loro Giulietta Masina in una dimensione prevalentemente onirica. Noi spettatori, infatti, siamo ingombranti ospiti dei sogni e degli incubi di Giulietta, ci sentiamo come tali perché è proprio lei, Caterina Gramaglia, a farci sentire osservatori e giudici della vita che “la moglie di Fellini” conduceva.

Caterina Gramaglia dà corpo, voce e dignità a questo personaggio, regalando a Giulietta l’occasione per esprimersi, piangere ed urlare il suo personalissimo “Otto e mezzo”, cacciando Cabiria e Gelsomina, i personaggi che l’hanno intrappolata in un immaginario che non le appartiene e che le sta stretto.

Colei che vediamo in scena è una bambina capricciosa, con in mano whisky e sigaretta, e un’adulta sognatrice; immersa profondamente nelle sue fragilità, Giulietta fa fatica a rimanere a galla, buttata giù dai fantasmi del suo passato e del suo presente, dalle sue vecchie paure e dalle angosce attuali. Nonostante questo, si divincola e prova a ribellarsi all’ombra gettatale addosso dal marito Federico Fellini, interpretato da un poliedrico Giulio Forges Davanzati che farà vivere anche i fantasmi di Giulietta, il suo psicanalista, il suo amante e l’amico Mastroianni.

Lo spettacolo si sviluppa in un unico atto, in cui luci e suoni ci fanno da bussola per percepire il confine tra sogno, incubo e realtà; le luci, in particolare giocano un ruolo essenziale nel disegnare il volto di Giulietta, sottolineando letteralmente le ombre che la donna porta addosso e da cui non riesce a liberarsi.

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