MAMUTHONES // RITMO DISTOPICO

Intervista a cura di Silvia Arduino

Protagonisti del Rome Psych Fest al Monk e di PDsychedelia al Circolo Nadir di Padova in chiusura di anno, i Mamuthones prendono il nome in prestito dalle inquietanti maschere rituali della loro terra di origine, la Sardegna, e lo portano in giro per il mondo, dimostrando di avere a tutti gli effetti il carisma ed il talento per imporsi sulla scena musicale internazionale.

Il loro ultimo album, Fear on the corner, è ispirato dalla paura.

La paura del presente, della situazione umana e politica, ma anche dalla paura più intima e personale, come quella della solitudine, delle relazioni sbagliate, di non trovare un proprio posto nel mondo. E c’è anche la paura della paura stessa. I Mamuthones passano in rassegna tutte le loro inquietudini più profonde con grandissima lucidità, al punto che l’album suona quasi profetico. Ascoltandolo a un anno di distanza dalla sua uscita, ci ritroviamo a constatare con la band che molti dei timori che sono filo conduttore di questo disco sono diventati realtà, come succede soltanto nei peggiori sogni distopici. Un incubo ad occhi aperti raccontato con grande grazia dalle loro sonorità cupe, ipnotiche e ritmate, perchè anche quando tutto attorno e dentro di noi sembra andare in mille pezzi, the show must go on.

Dopo aver letto l’intervista ad Alessio Gastaldello, correte ad acquistare l’album e ad ascoltare i Mamuthones live venerdì 29 marzo 2019, ore 22.15 presso il Camelot 3.0, via Santo Stefano 20, Prato (ingresso gratuito).

 

Partiamo dal titolo dell’album, Fear on the corner, questo tema della paura, che pare essere il filo conduttore di un disco cupo ed estremamente emotivo. Volete raccontarci di cosa avete paura e come le vostre paure hanno influenzato la creazione di questo lavoro?

Fa un certo effetto rispondere oggi a questa domanda. E’ passato circa un anno dall’uscita dell’album… e le paure attorno le quali è stato scritto sono diventate realtà. Le paure erano quelle causate da una società in disfacimento, imbruttita, incattivita, rancorosa, essa stessa impaurita e raggirata da chi questa paura la fomenta per tornaconto politico. Ma anche le paure più intime, per il mio vissuto, per le mie relazioni. Speravo questo album segnasse una catarsi, invece…

Siete stati definiti i capostipiti della scena Italian Occult Psychedelia, la vostra musica porta l’ascoltatore a sperimentare sonorità mai sentite prima. Come raccontereste la vostra identità sonora usando le parole anziché gli strumenti?

Sono cambiate molte cose, dal punto di vista sonoro, da quando venne coniato il termine Italian Occult Psychedelia, anche se noi questi cambiamenti li vediamo inseriti in un percorso coerente.
Sicuramente per i primi album avrei utilizzato termini quali esoterico, primitivo, oscuro, rituale, ipnotico, dronico. Oggi la nostra musica è decisamente più movimentata, più nervosa, isterica, più ritmica, ma vuole continuare ad essere un rito che noi celebriamo ogni volta che suoniamo, oggi assomiglia più a una danza che a una pregheria. Come una tua collega ha detto, c’è un percorso coerente partito dai riti e arrivato ai ritmi (Chiara Colli su Il Mucchio Selvaggio). A me ha fatto molto piacere questa cosa che lei ha sottolineato.

E’ difficile pensare alla creazione di musica senza pensare ai membri del gruppo, alle loro singole identità che si fondono per creare un dialogo. Come e cosa ciascuno di voi ha donato agli altri per contribuire a creare il sound Mamuthones? 

Con questo album si è completata la “trasformazione” dei Mamuthones in band vera e propria. Resto ancora io quello che fa “partire” i brani ma per questo album lo sviluppo è avvenuto insieme, con contributi molto significativi di Andrea, Francesco e Matteo. Con Matteo, il chitarrista, che è anche il membro più “anziano” come militanza nella band, ho un continuo scambio che riguarda anche l’immaginario, gli ascolti… è stato interfacciandomi con lui che è avvenuta la “deriva” dance dei Mamuthones. Mi ha introdotto, anzi ha rispolverato i miei ricordi di adolescente, per quello che riguarda l’acid house e l’italo. Con lui e Francesco abbiamo sviluppato i cori melodici che si sentono in due o tre brani; loro hanno spinto molto in questa direzione che io non sarei riuscito a sviluppare da solo. Andrea, il batterista, che è arrivato nel 2015 e dunque era alla prima esperienza di incisione con i Mamuthones, ha portato un allargamento delle possibilità ritmiche che io ho molto sfruttato, ogni pezzo ha un ritmo molto importante e diverso dagli altri.

Nei vostri brani la voce sembra essere uno strumento dalla ridondanza quasi ipnotica, quanto sono importanti le liriche nella costruzione dei vostri pezzi?

La voce, il cantato e dunque anche i testi hanno assunto sempre più importanza, diventando un elemento fondamentale nell’ultimo album, fino a creare il filo rosso della paura di cui parlavamo prima. Tendenzialmente i brani sono costruiti attorno ad un loop, di solito di batteria/percussioni, a cui aggiungo una linea di basso. Inizio ad ascoltarlo ossessivamente cercando quasi un’ipnosi finchè ne esce un cantato con un abbozzo di testo, quasi uno stream of consciousness, attorno al quale poi costruisco il testo vero e proprio.

Dove vi vedremo dopo Fear on the Corner? Cosa avete in programma?

Un bel po’ di cose sono state fatte, un paio di video, un tour eurpeo che ci ha portato a suonare a Londra al festival della Rocket, diverse date in Italia, nei club. E poi sto iniziando a buttare giù le prime idee per un nuovo album!

Condividi sui social!Share on Facebook
Facebook
Tweet about this on Twitter
Twitter
Share on LinkedIn
Linkedin