EDWARD HOPPER A ROMA

di Vera Viselli

È arrivata a Roma, al Complesso del Vittoriano (Ala Brasini, dal 01 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017) la mostra sul grande artista americano Edward Hopper, a cura di Barbara Haskell in collaborazione con Luca Beatrice, prodotta ed organizzata da Arthemisia Group.

Le 60 opere che è possibile ammirare, suddivise ed articolate nelle sei sezioni (ritratti e paesaggi, disegni preparatori, incisioni, olii, acquerelli ed immagini femminili) sono state realizzate tra il 1902 ed il 1960 e provengono tutte dal Whitney Museum di New York.

Edward Hopper (1882 1967) Study for Girlie Show (Studio per Lo spogliarello) 1941 Gesso su carta, foglio (irregolare) 33,8x38,3 cm New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American Art
Edward Hopper (1882 1967) – Study for Girlie Show – 1941. Gesso su carta, foglio (irregolare) 33,8×38,3 cm. New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American Art

Edward Hopper nacque nel luglio del 1882 in una piccola cittadina sul fiume Hudson, e già a 5 anni mostrò un certo talento per il disegno – un talento che la mostra non si è fatta mancare, con gli studi preparatori (Study for Gas, Study for Girlie Show, Study for Pennsylvania Coal Town) – tanto che i genitori (piccolo borghesi, proprietari di un negozio di tessuti) decisero di incoraggiarlo su questa strada: Hopper dipinse il suo primissimo quadro, dove mostrava il suo particolare interesse per le navi e tutto ciò che vi gravitava attorno, nel 1895 e, cinque anni dopo iniziò a frequentare la New York School of Art. Terminati gli studi, nel 1906, arrivò per la prima volta a Parigi e rimase ovviamente impressionato dagli impressionisti ma anche dalla stessa città, tanto che vi tornò altre due volte. Ed è proprio durante la sua terza – ed ultima – visita parigina che riuscì a perfezionare il suo particolare gioco di luci ed ombre , così come quella costante descrizione d’interni (presa in prestito da Degas) in cui prendevano forma i temi della solitudine e dell’attesa. Di questa sua parentesi francese si occupano proprio le prime sezioni, mostrando le opere che l’artista americano dipinse en plein air, in pienissimo stile impressionista, osservando dalle rive della Senna il paesaggio che la città gli offriva. Una città in cui, come afferma lo stesso Hopper, “tutto sembra essere stato progettato allo scopo di formare un insieme armonioso”.

Edward Hopper (1882 1967) Summer Interior (Interno d’estate) 1909 Olio su tela, 61 , 6 x74,1 cm New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American ArT
Edward Hopper (1882 1967) – Summer Interior – 1909. Olio su tela, 61,6×74,1 cm. New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American Art

Tornato in patria, Hopper tentò di sviluppare un suo stile che fosse del tutto americano (pur rimanendo per sempre legato alla Francia), iniziando ad interessarsi ai soggetti inerenti la vita quotidiana: nuove costruzioni, bar notturni, strade desolate, interni di appartamenti della classe media. Ecco, è esattamente in questi appartamenti che Hopper decide di guardare, per cogliere un momento di realtà o il realismo del momento, creando quell’approccio voyeuristico tanto caro ai registi moderni, quell’occhio che spia l’erotismo a distanza così ben mostrato da Hitchcock in Rear window ed in Psycho, dove peraltro prende in prestito da Hopper anche il motel dei Bates (l’olio su tela House by the Railroad, del 1925). Queste sue istantanee sembrano scatti fotografici, tanto nell’idea quanto nella composizione, ed un regista come Antonioni, il cui cinema è pura immagine, legato strettamente a pittura e fotografia, non può non farsene abbagliare – e, come lui rimarranno abbagliati anche Hawks, Malick, Altman, Wenders, i Coen, come racconta l’ultima sezione video della mostra, analizzando le influenze ed i rapporti del pittore con il grande cinema d’autore.

Edward Hopper (1882 1967) Soir Bleu (Sera blu) 1914 Olio su tela, 91,8x182,7 cm New York, Whitney Museum of American Art Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, licensed by Whitney Museum, N.Y.
Edward Hopper (1882 1967) – Soir Bleu (Sera blu) – 1914. Olio su tela, 91,8×182,7 cm. New York, Whitney Museum of American Art. Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, licensed by Whitney Museum, N.Y.

Nel 1920 Hopper tenne la sua prima mostra, presso il Whitney Studio Club, dove venne esposto anche Soir bleau (1914, titolo ispirato dal primo verso della poesia Sensation di Rimbaud): si tratta di un lavoro che segna prepotentemente l’allontanamento dell’artista dalle spensierate atmosfere parigine di inizio secolo, che si autoritrae nell’opera stessa attraverso la figura del clown. Si possono ammirare, nella mastodontica tela, questi sette personaggi in cerca non d’autore ma di pace – una prostituta, un probabile sfruttatore, una coppia borghese, l’Hopper-clown, un uomo con barba e cappello (è possibile sia Manet) ed un altro al suo fianco, forse in uniforme – in un contesto serale, quasi notturno, estremamente malinconico. Quest’opera, così monumentale, non solo per via delle dimensioni, non venne però vista di buon occhio né dalla critica, che la considerò “troppo europea”, né dal pubblico, tanto da essere disconosciuta dal suo stesso autore, che la arrotolò e la mise da parte, e che venne ritrovata nel suo studio soltanto dopo la sua morte, avvenuta nel 1967.

Edward Hopper (1882 1967) Light at Two Lights (Il faro a Two Lights) 1927 Acquerello e grafite su carta, foglio 35,4x50,8 cm New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American Art
Edward Hopper (1882 1967) – Light at Two Lights – 1927. Acquerello e grafite su carta, foglio 35,4×50,8 cm. New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American Art

Il successo, però, era solo rimandato, ed infine arrivò, ma dieci anni dopo e con gli acquerelli. Hopper li realizzò durante le estati passate tra Gloucester ed il Maine, immortalando fari che sovrastano il mare e una sabbia completamente arsa dal sole: luoghi dove qualcosa può avere inizio, dove un racconto può iniziare anche se i protagonisti ancora non fanno il loro ingresso sulla scena. Per Hopper “gli acquerelli sono abbastanza aderenti al dato concreto” e gli permettono di identificarsi, come afferma Luca Beatrice, “come il cantore di quelle atmosfere, l’osservatore di quei luoghi”. Di questo suo realismo spesso metafisico si è parlato in lungo ed in largo, dicendo che era l’autore a prediligere quei momenti così solitari, quelle donne sole in attesa di qualcosa o di qualcuno; in realtà, Hopper rendeva così struggenti e poetici i suoi soggetti non perché sceglieva di farlo vedendoli, ma semplicemente perché dipingeva quello che provava. Quei colori brillanti dei nuovi edifici, urbani e non, non si mantengono nella sfera di eccitazione verso il nuovo, non trasmettono affatto calore; piuttosto, trasudano inquietudine, in quel contesto deserto e silenzioso in cui vengono posti. Se c’è la presenza di una qualche figura umana, state certi che quel silenzio non muta la sua accezione ma si espande, divenendo incomunicabilità ed estraneità, quella verso cui il mondo moderno instrada l’essere umano. Una situazione che non sembra fermarsi alla perdita di linguaggio, ma che pervade anche la sfera motoria: queste persone, come sottolinea Baigell, sembrano trovarsi quasi intrappolate nel quadro, divenendo parte stessa della sua composizione, incapaci non solo di parlarsi ma anche di muoversi.

Hopper, quel silenzio, è stato capace di dipingerlo.

Edward Hopper (1882 1967) New York Interior (Interno a New York) 1921 circa Olio su tela, 61,8x74,6 cm New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American Art
Edward Hopper (1882 1967) – New York Interior (Interno a New York) – 1921 circa. Olio su tela, 61,8×74,6 cm. New York, Whitney Museum of American Art; Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper, Licensed by Whitney Museum of American Art
In copertina: Edward Hopper (1882 1967)- Second Story Sunlight – 1960. Olio su tela, 102,1×127,3 cm New York , Whitney Museum of American Art; acquisizione con i fondi dei Friends of the Whitney Museum of American Art © Whitney Museum of American Art, N.Y.

Edward Hopper
Complesso del Vittoriano, Ala Brasini – Roma
1 ottobre 2016 – 12 febbraio 2017
a cura di Barbara Haskell in collaborazione con Luca Beatrice

Mostra prodotta e organizzata da Arthemisia Group
In collaborazione con Whitney Museum of American Art di New York

Informazioni e prenotazioni
T + 39 06 87 15 111
www.ilvittoriano.com

Orario apertura
dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30
venerdì e sabato 9.30 – 22.00
domenica 9.30 – 20.30

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