GRAFICO E’ POLITICO. LE ILLUSTRAZIONI DI ANARKIKKA PER IL CENTRO DONNA LILITH

di Jamila Campagna

Quaranta anni fa, nell’arco di tempo tra il 30 giugno e il 29 luglio 1976, il Tribunale di Latina vide svolgersi il processo per il cosiddetto Massacro del Circeo, un delitto di brutale violenza che segnò l’immaginario sociale e culturale dell’Italia del tempo, giungendo con incredibile lucidità fino al giorno d’oggi, continuando ad essere il punto di non ritorno in cui è iniziata una presa di coscienza nella lotta contro la violenza di genere. Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, le due giovani vittime della notte di torture (in cui la seconda arrivò ad essere uccisa) condotta da tre ragazzi della borghesia romana, divennero il simbolo di una società che doveva cambiare affrontando l’affiorare di una violenza latente, ma purtroppo non così marginale, da parte di alcuni uomini verso le donne e di un generale approccio sessista che vedeva la donna in condizione di subordinatezza sia nell’ambito lavorativo che in quello famigliare e più generalmente sociale. Nel ’76 il movimento femminista si era concretizzato in Italia già da alcuni anni, e da quel momento riuscì a svilupparsi pian piano anche a Latina, città che per origine storica trovava le sue difficoltà a delineare un nuovo punto di vista sul femminile. Dapprima, le manifestazioni a seguito del delitto del Circeo ebbero una natura politica, di classe, dove c’era un proletariato offeso da una borghesia meschina e bruta nascosta sotto una patina perbenista; successivamente la cittadinanza più attiva si rese conto dell’importanza di quelle manifestazioni e del bisogno di interpretare la vicenda come fenomeno culturale, dunque non circoscritto in una politica ideologica, fatta di poli contrapposti, bensì appartenente a una politica culturale e civile.

In questo percorso si è instaurato l’importante lavoro del Centro Donna Lilith di Latina, fondato nel 1986 da molte di quelle attiviste che scesero in piazza in occasione del processo del Circeo, un Centro che è diventato con il tempo un punto di riferimento per tutte le donne che avessero avuto bisogno di accoglienza e sostegno in situazioni di violenza domestica, lavorativa o sociale. Il Centro Donna Lilith ha inaugurato, lo scorso 29 giugno, un mese di mobilitazione per riflettere sulle politiche di prevenzione e contrasto della violenza di genere. La prima tappa degli eventi è stata l’esposizione del manifesto disegnato dall’illustratrice Stefania Spanò, in arte Anarkikka, che si estende per 9 metri sulla facciata della sede del Centro e da lì parla alla città a caratteri cubitali, ricordando che la società italiana si è trasformata moltissimo negli ultimi 30 anni ma che alcuni problemi sono presenti “ora come allora”. Attraverso la combinazione di personaggi bidimensionali ed efficaci (quasi sempre figure femminili) e frasi sintetiche ed esplicative, Stefania Spanò – Anarkikka racconta l’attualità attraverso gli occhi delle donne; le sue sono delle vignette che agiscono come delle finestre e creano un discorso aperto, transgeografico e transculturale. I suoi progetti – con temi che vanno dalla critica di alcune sentenze giuridiche alla riflessione su fatti di cronaca e su come la stampa li interpreta, per dirne alcuni – ruotano attorno all’universo femminile, al ruolo della donna nell’Italia di oggi (con uno sguardo anche verso la cronaca estera) e riferiscono un punto di vista che è interno ed esterno al contempo: come le donne si vedono e come le donne sono viste; cosa le donne hanno da dire, cosa le società dicono sulle donne. Un lavoro fatto di differenza e attenzione, non privo di ironia. Ecco perché grafico è politico. Perché l’illustrazione si fa impegno, un impegno che è politico nel senso di culturale, civile e civico, secondo l’etimologia che ha la sua derivazione evidente in polis, la città greca, che non era solo un segno su una mappa o un confine burocratico, ma piuttosto il luogo ideale di una convivenza rispettosa e consapevole tra i membri di una comunità, il momento di coesione tra il molteplice, laddove, in una matriosca di significati, la parola polis condivide la stessa radice πολ- (pol-) della definizione greca che descrive i molti (οἵ πολλοί).
La valorizzazione della differenza di genere, importante risorsa e possibilità di arricchimento, rientra oggi nella grande sfida della molteplicità contemporanea, che trova la sua realizzazione nel riconoscere e rispettare le singolarità, non secondo un principio di uguaglianza volto a livellare le caratteristiche del singolo con quelle del gruppo, ma secondo un principio di equità che consideri ciascuno per la propria identità, senza che la persona venga incastrata in uno stereotipo.

Questo il ventaglio di pensiero che Anarkikka racconta con le sue sagome dai contorni alternativamente spigolosi e curvilinei, figurine che dicono la loro con frasi ragionate e assertive, che si sono fatte spazio anche nell’opuscolo Quando le donne dicono Basta, realizzato quest’anno dal Centro Donna Lilith per documentare i trent’anni del loro operato e di cui Anarkikka ha curato le illustrazioni.

A completamento del mese di mobilitazione contro la violenza di genere inaugurato con il manifesto di Anarkikka, alle ore 19:00 di domani, venerdì 29 luglio – giorno della ricorrenza della condanna all’ergastolo degli assassini del Circeo -, il Centro Donna Lilith, in collaborazione con la regista e performer Monica Giovinazzi, ha organizzato Colmare di colore, manifestazione-performance itinerante e aperta alla cittadinanza, che partirà dalla sede del Centro (via Massimo D’Azeglio, 9 – Latina) e raggiungerà il Tribunale di Latina, facendo tappa per alcuni luoghi simbolici tra letture, azioni e l’installazione di tessere colorate, segni volti a creare una cultura della non violenza e del rispetto delle differenze. Al termine del percorso verrà proiettato Processo per stupro, film-documentario realizzato nel 1979 da un gruppo di cineaste e dedicato a documentare interamente il processo agli stupratori di Fiorella (svoltosi sempre a Latina nel 1978): per la prima volta le telecamere entravano in un’aula di tribunale e un processo raggiungeva le case degli italiani attraverso la televisione, dando l’avvio ad una riflessione critica sulla cultura giuridica dell’epoca e a successive trasformazioni giurisprudenziali e legislative oltre che sociali.

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