FATOUMATA DIAWARA LIVE PER ROMAEUROPA


recensione di Patrizia Santangeli // foto di Jamila Campagna

Appena salita sul palco, il carisma di Fatoumata Diawara ha invaso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Se ne sono accorti anche nelle ultime file. Calore e colore africano sono stati in scena per tutto il concerto e la grazia musicale di Fatoumata Diawara, unita alla sua bravura e alla presenza scenica, hanno portato il pubblico lontano. Lontanissimo.
Fatoumata ha presentato il suo ultimo album, pubblicato nel 2018 e intitolato Fenfo. Un disco a metà strada tra la tradizione e il futuro, ricco di tutte le sfumature che i suoi mestieri le consentono di esprimere: cantante, autrice, chitarrista e attrice; tutta la sua attività è attraversata dall’impegno civile in difesa delle categorie più in difficoltà, in particolare delle donne, spesso vittime di pratiche disumane come la mutilazione dei genitali. Sul palco si muoveva soave ed energica e il colpo di teatro c’è stato quando ha tolto il turbante colorato scoprendo una capigliatura densa di trecce che si muovevano al tempo delle sue canzoni. Sa indubbiamente come far spettacolo e lo fa nella maniera più onesta e coinvolgente, tanto che il pubblico, inizialmente seduto sulle poltrone della sala, ha letteralmente sudato scatenandosi sul posto e partecipando alle sollecitazioni di Fatoumata, salendo persino sul palco in chiusura di concerto. Lei poi, che arriva dal Mali, ma vive in Francia, la sua terra d’origine la celebra a ogni movimento, ogni nota, ogni accordo di chitarra. Inarrestabile nelle movenze della danza africana, quella che trae le sue origini dai gesti dei lavoratori nei campi. Quando cita Timbuctou la mente corre al paesaggio sognato che quel nome evoca immediatamente. Un luogo che per gli appassionati di cinema è anche un bellissimo film del 2014, diretto dal regista, sempre maliano, Abderrahmane Sissako, nel quale Fatoumata Diawara ricopriva il ruolo di cantante.
Un concerto-evento ricchissimo di stimoli e Fenfo, che nella lingua tradizionale maliana, il bambara, significa “qualcosa da dire” di cose ne ha dette proprio tante. Ha detto di musica aricana, di pop, di blues, di anima profondamente nera e inequivocabilmente internazionale, di cibo, di diritti civili, di spazi immensi come quelli del paesaggio maliano. E alla fine del concerto anche l’espressione del pubblico aveva qualcosa da dire, ma a lei: “torna sul palco e ricominciamo tutto da capo”.

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