ARUÁN ORTIZ, IL RACCONTO DELLE HIDDEN VOICES

recensione e intervista di Jamila Campagna

Può un suono essere portatore di un’esperienza personale e al contempo di una memoria collettiva?
Può la musica essere espressione di dell’intero campo dell’estetica?

Hidden Voices è il concept album del pianista jazz cubano Aruán Ortiz – realizzato in trio con Eric Revis e Gerald Cleaver – un album che riassume una ricerca che va, passo dopo passo, dall’esperienza di vita del pianista fino al significato del cultural heritage, passando per lo studio della forma.
Hidden Voices non è solo un album di avant-garde jazz che rappresenta l’attitudine cosmopolita e sperimentale di Aruán Ortiz; Hidden Voices è un narrazione. La narrazione gira attorno a un doppio legame: l’impatto della musica contemporanea sulle sonorità caraibiche è il punto da cui il musicista parte per incorporare la musica tradizionale cubana e haitiana nella sua produzione. Qui costruisce una sorta di campo magnetico di cui la cultura cubana è il centro, il nucleo dove avviene un processo attraverso l’integrazione di influenze differenti.

Un percorso di 10 tracce per scoprire che Geometria e Storia sono argomenti dello stesso discorso. La combinazione di elementi ha carattere ideologico e, allo stesso tempo, è l’approccio ad una ricerca profonda che mira alla creazione di un sound nuovo e autentico. Fractal Sketches apre l’album con un ritmo energico ed esplosivo, Uno, Dos y Tres, Que Paso Más Chevere è il brano tradizionale cubano che chiude la serie. Nel mezzo, strutture naturali trovano continuità nelle stagioni in Arabesques of a Geometrical Rose, divisa in due tracce – Spring e Summer -; gli standard Open&Close e The Sphynx trovano l’interpretazione di Ortiz; Joyful Noises possiede la brillantezza dell’inventiva; ma è la terza, Hidden Voices – Caribbean Vortex a dare la chiave di accesso a tutto: la base ritmica è usata come uno strumento e ci conduce sulla strada dell’avanguardia artistica, dove la musica è la condensazione dell’universo e l’improvvisazione è il modo per attraversarlo.

Ho incontrato Aruán Ortiz a Milano lo scorso 20 marzo, il giorno prima del suo concerto in città. Non ho semplicemente incontrato il pianista, violista, compositore e produttore, nato a Cuba, attivo a New York e acclamato in tutto il mondo; ho incontrato una persona affabile e generosa, felice di di condividere il suo punto di vista sull’arte e di spiegarmi qual è la sua missione nella musica. Ho incontrato un ricercatore, ho incontrato un Maestro del jazz.

Vuoi raccontarci il tuo percorso musicale da Cuba a New York?
Studiavo e suonavo a Cuba, da cui sono andato via nel 1996 quando ho avuto l’opportunità di trasferirmi in Spagna per studiare pianoforte classico sotto la guida di un grande insegnante, il pianista cubano Cecilio Tieles; successivamente, ho studiato presso l’Aula de Musica Moderna y Jazz di Barcellona, guidato dal bassista Oratio Fomero. Grazie a questa scuola ho avuto l’opportunità di fare un’audizione e ottenere una borsa di studio presso il Berklee College di Boston. Giunto a Boston ho iniziato a suonare con molti musicisti, molti dei quali provenienti d New York, finché non ho avuto l’opportunità di suonare piano e tastiere con Wallace Roney. Lui mi ha incoraggiato a trasferirmi a New York. La scena jazz di New York ha rappresentato la mia crescita come persona e come artista ed è stata per me l’occasione di avere una visibilità internazionale.

Sei d’accordo con me nel dire che la tua musica è una ricerca?
La mia musica è frutto di molte influenze; dire che, provenendo da Cuba, vivendo e studiando in Spagna ed essendomi poi trasferito negli Stati Uniti, dove ho studiato e condiviso il palco con quelli che considero i più grandi musicisti jazz di oggi, ho avuto modo di assorbire molte idee e materiali da loro e poi ho ridisegnato la mia musica con un taglio molto personale. Provo ad assorbire idee da una varietà di fonti artistiche ed estetiche non necessariamente legate alla musica. Quindi il mio lavoro è quello di trasferire tutti i parametri e i principi fondamentali delle altre forme d’arte nella composizione musicale, nell’improvvisazione, nella musica creativa.

Mi affascina dialogare con gli artisti, parlare di forme, come le vedono e le concepiscono, cosa significano per loro.

Nel mio ultimo album Hidden Voices sono molto interessato all’architettura, come posso vedere le forme architettoniche e come posso tradurle in musica, come posso usare un elemento che posso trovare nel design, nell’architettura della natura, come i frattali, i riflessi, come posso portare la simmetria, lo specchio, le immagini distorte, nella musica. Il mio processo creativo nell’ultimo album è questo: combinare elementi e influenze differenti e filtrarli attraverso il mio processo creativo per farli convergere in una unica voce, in un unico sound. Allo stesso tempo, ho un ritmo che definisce il mio essere cubano, come accade, per esempio, in titoli come Caribbean Vortex – Hidden Voices: ho provato a visualizzare come si muove un vortice, a dare l’idea di come si muove un vortice nei Caraibi. Dunque, ho usato molti ritmi caraibici e allo stesso tempo ho lavorato su come un mulinello possa muoversi in modi differenti per creare soluzioni ingannevoli; è molto interessante per me realizzare una sorta di trapianto di cellule.

prima pag inglese

Qual è l’importanza dell’improvvisazione nella tua musica?
L’improvvisazione è un aspetto molto importante nel creare musica; sono solito combinare materiale scritto con materiale improvvisato in modo tale che non si possa dire in che momento la parte scritta finisca e dove inizi l’improvvisazione. Provo a incorporare l’improvvisazione all’interno della struttura, senza nessuna separazione dalla parte scritta.
Così ho un approccio differente verso la musica stessa, è come se fosse sempre generata in quell’esatto momento; la chiamo musica viva.
Non si riesce a vedere che c’è una melodia e l’improvvisazione e poi un’altra melodia, perché posso riorganizzare tutte queste informazioni in modi differenti, non c’è un ordine preferenziale. Improvvisazione e materiale scritto hanno lo stesso valore nel disegno della composizione. E’ tutto parte dello stesso collage

Qual è il concept principale alla base di Hidden Voices?
Uno dei concetti fondamentali dietro l’album è nato dal mio interesse per la produzione del compositore greco-francesce Iannis Xenakis. Xenakis ha scritto un libro intitolato Music and Architecture: ho usato questo titolo per una serie di concerti che ho curato a New York nel 2013. Non appena ho avuto modo di realizzare questo album, ho lavorato per strutturarlo e arrangiarlo per un trio format. Ad esempio, titoli come Fractal Sketches, Analytical Simmetry, Arabesque of Geometrical Rose erano parte della mia serie Music and Architecture.
Inoltre, sono tornato a Cuba nel 2014 per studiare la musica e i ritmi di Cuba e Haiti con le comunità locali e conoscere l’impatto di quelle sonorità nella vita sociale e culturale di Santiago de Cuba, la mia città natale; lì ho trascoro un periodo fantastico lavorando con loro, seguendo lezioni, ascoltandoli suonare. Ho acquisito moltissime informazioni da queste comunità. Una delle mie missioni principali è restituire i ritmi afro-cubani e haitiani in un vocabolario più contemporaneo, permutandoli ed espandendoli. Ho provato ad usare quel materiale grezzo filtrandolo nel mio processo creativo.
Tra i miei punti di riferimento musicali negli ultimi anni c’è Muhal Richard Abrams della AACM (Association for Advancement of Creative Musicians); nomi come Henry Threadgill, Roscoe Mitchell, George Lewis, persone con una voce assoluta e senza compromessi, devoti al loro processo creativo.
Questa è un’altra angolazione che si riflette nella mia musica: Music and Architecture, influenze cubano-haitiane e avant-garde jazz.

Hidden Voices. Cosa puoi dirci di questo titoli affascinante e misterioso?
Hidden Voices, le voci nascoste, non hanno segreti.
È possibile interpretare questo titolo da vari punti di vista. Il principale è legato alla prima traccia del mio album che si intitola Carribean Vortex – Hidden Voices. Si tratta di un vortice caraibico perché ho usato, come dicevo, un pattern di ritmi cubani e haitiani permutando percussioni e claves. C’è questa permutazione nella base e poi il trio vi suona sopra, permutando ciò che era già permutato. Le voci nascoste sono riferite al fatto che la base ha una melodia ma tu non riesci a comprenderla realmente, perché è nascosta dentro tutto ciò che accade sopra di essa.
Hidden Voices è anche un tributo verso tutte le persone che sono state figure chiave nella nostra carriera e nella nostra vita ma restano sconosciute, nascoste, ma la loro guida e i loro consigli hanno dato un grande apporto alla nostra crescita come persone e come professionisti.
Allo stesso tempo, le voci nascoste sono tutte quelle culture da cui proveniamo, ma che non conosciamo direttamente, i nostri antenati, che attraverso la trasmissione orale hanno definito il nostro heritage culturale, chi siamo ora, perché parliamo nel modo in cui parliamo, perché possediamo determinate influenze.
Tutto questo è il concept alla base di Hidden Voices.

Aruán Ortiz – Hidden Voices – intervista – IL MURO from IL MURO on Vimeo.

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