SOTTO IL TRUCCO DI JOKER

a cura di Fabrizio Moscato

Da quando nel 1939 Bob Kane ha creato il personaggio di Batman, ponendolo nella immaginaria e grottesca Gotham City, tutti i personaggi di quell’universo hanno subito evoluzioni e caratterizzazioni via via più definite, andando a costruire una vera e propria mitologia contemporanea.

Lewis Wilson e Douglas Croft in “Batman”, trasposizione cinematografica del 1943 in cui compare, per la prima volta, la celebre Bat-Caverna

Sebbene The Batman nasca come un fumetto, contributi alla costruzione del Bat-Universo nell’immaginario collettivo sono arrivati anche da altri media, come la TV, il cinema e i videogames, che più volte hanno interpretato il Cavaliere Oscuro e i suoi bizzarri e letali antagonisti. Quanti sanno, ad esempio, che la Bat-caverna è stata introdotta per la prima volta nel 1943 nel primo adattamento cinematografico del personaggio, in quell’occasione interpretato da Lewis Wilson, e solo successivamente mostrata anche nel fumetto? E che dire di un personaggio che negli ultimi anni ha fatto la fortuna di migliaia di Cosplayers, quella Harley Quinn che prima di essere introdotta negli albi di Batman e di veder poi vestiti i suoi abiti dalla splendida Margot Robbie nel film Suicide Squad, è comparsa per la prima volta nel cartoon Batman del 1992?

Dal 1939 l’Uomo-pipistrello, i suoi comprimari e gli antagonisti (questi ultimi con un peso sempre crescente sul successo del personaggio), hanno vissuto innumerevoli interpretazioni, distanti anche decenni una dall’altra, che utilizzando mezzi e linguaggi vicendevolmente influenzati, hanno arricchito il bagaglio dei personaggi con episodi e caratteristiche che, sedimentate nella memoria dei lettori/spettatori, sono entrati più o meno ufficialmente a far parte della loro narrazione. Unica costante: se Batman è un’icona di giustizia, sia nelle interpretazioni vagamente dark delle origini, sia in quelle camp degli anni ’60, influenzate dalla serie TV con Adam West e Burt Ward, tanto iconica quanto kitsch, così come nelle rappresentazioni poliziesche di Neil Adams o in quelle più brutali e moderne di Frank Miller, allora Joker è la sua principale nemesi: rappresenta il crimine, il male che è alla base della nascita di Batman e per estinguere il quale Bruce Wayne intraprende la sua crociata.

Sebbene il personaggio di Joker abbia attraversato diverse trasformazioni negli anni, non tanto nella grafica quanto nelle sue attitudini, che lo hanno visto passare da stragista a bizzarro stalker di Batman, per poi tornare ad essere un micidiale assassino ossessionato dal vigilante mascherato (e, come vedremo, dal suo giovane aiutante Robin), nessun autore ha mai osato mettere in discussione che esso rappresenti il male che si nutre di se stesso e che in se stesso trova la sua giustificazione.

Le origini di Joker – quelle reali e non quelle del personaggio – risalgono al 1940, quando il folle giullare compare nel primo albo di Detective Comics (poi divenuta l’odierna DC) interamente dedicato a Batman: si tratta di un criminale assassino, che tuttavia non sembra essere guidato dalla clownesca follia che ne caratterizza molte avventure successive: ragiona come un gangster e viene mostrato lucido, riflessivo e persino con il volto serio, privo dell’abituale ghigno. Quali siano i riferimenti culturali che ispirano la creatività di Bob Kane, nell’occasione coadiuvato da Bill Finger e Jerry Robinson, appare chiaro sin dalla prima vignetta, quella con il titolo della striscia: il volto e l’espressione di Joker (“Il Jolly”, per il pubblico italiano) è un’immagine speculare a una foto di scena dell’attore Conrad Veidt, protagonista del film muto L’uomo che ride, un horror del 1928.

Joker al suo esordio, rappresentato serio e riflessivo
Conrad Veidt in una scena dell’Uomo che ride, film muto del 1928 diretto da Paul Leni, e il Joker nella sua prima apparizione su Detective Comics, nel 1940.

Anche successivamente, persino nel celebre Killing Joke, in cui si mostra il criminale prima della sua trasformazione, la condanna di Joker è senza appello: la sua follia è il male e semmai a essere messa in dubbio è la sanità mentale della sua controparte, che in lui si specchia e che da esso è definito. Il tema introdotto dal fumetto di Alan Moore nel 1988, che rappresenta una vera pietra miliare del personaggio, ritornerà anche nelle versioni cinematografiche di Burton (1989) e Nolan (2008), con due celebri dialoghi tra i Batman/Keaton/Bale e i Joker/Nicholson/Ledger che, sebbene molto diversi fra loro, girano intorno alla domanda: “esisterebbe Joker senza Batman?” Entrambi i dialoghi vedono finire Joker sospeso nel vuoto. Ledger ride mentre è appeso a testa in giù, Nicholson lo fa, attraverso un marchingegno, addirittura dopo essersi schiantato a terra: una metafora dell’incapacità di riconoscere qualsiasi regola, foss’anche la forza di gravità?

Certo è che Joker è un villain che agisce senza alcun limite e che, superati gli anni della censura sui comics, che ne avevano imbrigliato la violenza in complicati, teatrali e stravaganti stratagemmi per far fuori il Dinamico Duo, torna a colpire alla fine degli anni ’80 armato di un piede di porco e della violenza senza freno che solo la pazzia che lo pervade è in grado di giustificare: in Batman: A Death in the Family , di Jim Starlin, uccide senza pietà il secondo Robin (Jason Todd, che aveva sostituito Dick Grayson, il Robin originale), assecondando tra l’altro i lettori che, con un sondaggio telefonico, avevano scelto di far agire Joker come un assassino a sangue freddo, senza alcuno scrupolo. La sua incarnazione in Arkham Asylum di Grant Morrison (1989) invece è quasi astratta: una figura demoniaca, inserita in un contesto, il famigerato manicomio criminale di Gotham, in cui la pazzia rappresenta l’unica costante; lo scenario sarà riutilizzato venti anni dopo per un omonimo videogame di grande successo. Ancora una volta dunque, se Batman è il paladino della giustizia, Joker ne rappresenta la negazione.

Un disperato attore comico prima della sua trasformazione in Joker nel Killing Joke di Alan Moore, e la spietata uccisione di Robin in Batman: a Death in the Family di Jim Starlin

 

Arkham Asylum: un Joker demoniaco nei disegni di Dave McKean per Alan Morrison e la sua successiva versione nel videogame Batman – Arkham Asylum

Questo fino all’ultima (riuscitissima) interpretazione di Todd Phillips e Joaquin Phoenix, trionfatore a Venezia e campione d’incassi, che registra critiche mai così generose per un cinecomic. Joker è sicuramente uno dei più grandi successi cinematografici che la DC possa vantare, ed è innegabile che gran parte della sua fortuna sia dovuta alla maiuscola prova attoriale di Joaquin Phoenix. Quest’ultimo è stato capace di riprendere il Joker di Heath Ledger e inserirlo in un contesto più realistico, se si vuole anche meno difficile, rispetto a quello di The Dark Knight di Cristopher Nolan, nel quale al pubblico era chiesta una maggiore sospensione dell’incredulità, se non altro per la presenza di Batman e delle sue mirabolanti gesta.

ATTENZIONE DA QUESTO MOMENTO IN POI SI FANNO RIFERIMENTI AL FILM CHE POSSONO COMPORTARE SPOILER!

Ma se l’interpretazione di Phoenix non lascia spazio a dubbi, anche se qualcuno inizia a domandarsi se quello di cui stiamo parlando sia davvero il capolavoro che viene descritto, a lasciare perplessi è il significato stesso che il film attribuisce alla figura di Joker, segnando non solo un mutato punto di vista sul personaggio, arricchito da nuovi spunti narrativi, ma una sua nuova collocazione nel pantheon dei più famosi villains, con una lettura che in parte lo riscatta, dandogli un nome reale (Arthur Fleck), mostrando le patologie che lo affliggono e illustrando le origini che lo hanno reso la nemesi di Batman, in un processo di trasformazione fisica e mentale che Joker sembra subire più che determinare. Un’operazione non nuova, questa di giustificare il passaggio dalla parte sbagliata della barricata, che al cinema ha visto il suo apice con il cattivissimo Darth Vader/Anakin Skywalker in Star Wars.

In realtà il tentativo di suscitare empatia per l’uomo che diventerà Joker non è nuovo: il film di Phillips ha ben presente il già citato capolavoro di Alan Moore Killing Joke, che mostra gli avvenimenti che indussero alla pazzia il pagliaccio assassino, anche in quel caso raccontato come uno stand up comedian fallito, che deve affrontare umiliazioni e drammi personali addirittura maggiori rispetto a quelli della sua ultima trasposizione cinematografica. E nel raccontare le sue origini e quelle del suo orribile sorriso, ogni volta in una maniera diversa e più drammatica della precedente, indubbiamente anche Nolan e Ledger avevano reso omaggio al fumetto cult di Moore, che faceva dire al suo Joker «Se proprio devo avere un passato, preferisco avere più opzioni possibili».

Il risultato è piacevole ma di impatto certamente minore rispetto al Joker di Ledger, che di fatto ha reinventato il personaggio, dopo la magistrale prova di Jack Nicholson nel film di Burton, clownesca e fumettistica, che a sua volta rubava la teatralità (e in parte l’aspetto) del Joker di Romero nella celebre serie TV degli anni ’60, mentre le cause del suo aspetto (e della conseguente pazzia) erano le stesse raccontate da Moore. A contribuire alla riuscita della versione italiana del film c’è il doppiatore Adriano Giannini, che aveva prestato la sua voce anche a Ledger, sebbene con toni decisamente diversi, e che era succeduto al padre, Giancarlo Giannini, primo celebre doppiatore del Joker di Nicholson.

Il film di Phillips parte da una consolidata base nell’immaginario collettivo e, attingendo a piene mani da quel Killing Joke che per primo aveva mostrato la discesa all’inferno del più grande nemico di Batman, cerca in essa delle possibili attenuanti («ho avuto una brutta giornata» citazione presente nelle versioni di Moore e in quelle cinematografiche di Nolan e Phillips); né mancano riferimenti alla versione di Jack Nicholson, in particolare legati all’attitudine al ballo di Arthur Fleck (“Hai mai danzato con il diavolo, nel pallido plenilunio?”). Praticamente ignorata risulta invece la prova di Jared Leto, probabilmente proprio perché il Joker presente in Suicide Squad sembra spingere, sin dal suo aspetto, più sulla cattiveria che non sulla follia, così come manca l’eccellente Cameron Monaghan, che nella serie Gotham interpreta ben due versioni di un proto Joker sadico e anarchico, incarnato da due fratelli gemelli.

Il teatrale Romero, il fumettistico Nicholson, il folle Ledger, il cattivo Leto, il trasformista Monaghan (in tre versioni) e il disperato Phoenix.

Il risultato raggiunto da Phillips è un bel film, che certamente viene apprezzato anche da chi non è cultore del genere, ma che non ha il coraggio di mostrare l’anarchia dettata dall’assenza di ogni morale e il caos gratuito che Joker rappresenta, incarnando il volto del male puro (l’omicidio più atroce, quello della ragazza di cui è innamorato e di sua figlia, è soltanto, volutamente, lasciato intuire).
Phillips si accontenta di percorrere sentieri già battuti di denuncia sociale e vaga ribellione, alla ricerca del riscatto attraverso la violenza e la distruzione. Il Joker come il Taxi Driver, con Phoenix che come De Niro (qui nel frattempo passato dall’altra parte della barricata) lascia che il suo personaggio usi lo specchio per dare vita alla nuova personalità, cambi aspetto attraverso i capelli per riconoscerla e ricorra persino alla stessa arma, una pistola, quale mezzo per affermare la propria esistenza, con una sparatoria che simbolicamente avviene anche qui su una scalinata.
La scena finale, che vede Joker trionfatore di un popolo di emarginati mascherati che si ribellano all’élites, rappresentate anche da Thomas Wayne (che da icona di solidarietà sociale qui diventa il volto buono del capitalismo incapace di includere gli ultimi), ricorda storie già raccontate, come V per Vendetta o La casa di carta: Joker però è un’altra cosa e il personaggio risulta violentato, e quindi depotenziato, in nome di una morale nemmeno troppo originale.

Sarà questo il Joker, d’ora in poi? L’anarchia che si ribella al potere dominante in nome del riscatto? Il vendicatore degli esclusi, che ricorre alla violenza non avendo più alcun’altra possibilità di esistere e trovare un suo ruolo del mondo?
C’è da sperare che non sia così, perché malgrado la fascinazione suscitata dal personaggio sugli spettatori, il mondo dei comics ha ancora bisogno di un cattivo immaginario, senza alibi, spietato e imprevedibile, e di un uomo pipistrello che venga a colpirlo con un pugno sul viso, per citare il maggiordomo di casa Wayne, Alfred Penniworth, nel “disperato tentativo di portare ordine nel caos”.

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