VIRTUAL HERITAGE E L’ORIZZONTE DELLE NUOVE TECNOLOGIE PER I MUSEI ITALIANI

di Arianna Forte

Dai beacons alle wearable technology, passando per l’ultima generazione di sistemi di Virtual Reality, si delinea il lato tangibile del rinnovamento che si sta avviando nei musei italiani. Le istituzioni culturali si misurano con una società in cui l’esperienza del mondo è sempre più mediata dai dispositivi terzi o meglio, come ha emblematicamente e tristemente dimostrato il recentissimo avvenimento della Marcia degli ologrammi di Madrid[1], non è esclusivamente determinata dalla nostra presenza fisica ma dalla nostra esistenza virtuale.
Il Forum TECHNOLOGYforALL di Roma è stata una finestra su gli orizzonti che il digitale può offrire per avvicinare il patrimonio dei beni culturali ad un pubblico più vasto e su come le potenzialità dell’Hi Tech possano essere rese in una dimensione accessibile all’utente. “ Ora che tutti hanno uno smartphone in tasca, nessun museo può prescindere dal potenziamento del digital”[2]è stato il monito della conferenza.
Molte realtà si stanno muovendo in questa direzione, sviluppando App, guide interattive, guide in realtà aumentata e altri strumenti digital e social che arricchiscono l’esperienza del visitatore con nuovi contenuti e nuovi modi per raccontarli.
A partire dal Museo Civico di Palazzo Farnese a Piacenza che è il primo museo italiano e uno dei primi cinque in Europa ad aver adottato la tecnologia iBeacon. Questi piccoli emettitori Bluetooth integrati con IMApp, l’applicazione dedicata, permettono un’esperienza di visita guidata interattiva, personalizzata e con durata non circoscritta al periodo di permanenza nell’edificio. Ogni volta che uno smartphone o un tablet entra nel raggio d’azione di un beacon, posizionato in prossimità di uno dei vari punti d’interesse dell’esposizione, vengono inviate delle notifiche sul dispositivo che consentono di accedere a informazioni testuali e contenuti audio-video, personalizzabili per ogni utente. Questa tecnologia sfrutta appieno la diffusione capillare degli smart device e consente la totale customizzazione dell’esperienza di visita.
Inoltre al TECHNOLOGYforALL è emerso come alcune entità museali, soprattutto le meno visibili, si stanno impegnando a digitalizzare le loro collezioni o a scannerizzare in 3D i siti archeologici.
Un esempio spettacolare è quello del progetto del laboratorio Visit di Cineca che ha superato la barriera dello spazio-tempo trasportando virtualmente due monumenti-simbolo della civiltà Etrusca. Il Sarcofago degli Sposi, esposto permanentemente all’interno del Museo di Villa Giulia, è stato oggetto di una minuziosa ricostruzione digitale che è maestosamente proiettata in olografia al Museo della Storia di Bologna. Alla stessa maniera anche la Situla della Certosa si muove solo virtualmente da Bologna a Roma nella sua versione olografica. Ad essere esposte sono delle repliche, degli avatar, dei fantasmi o delle nuove anime dell’opera originale, che le conferiscono però una nuova vita. Attraverso il linguaggio delle nuove tecnologie, l’opera d’arte, pur mantenendo il suo valore di bene culturale unico, è moltiplicata e reiterata in un sistema di comunicazione multilayer che non solo la rende accessibile in diversi tempi e modi (fuori e dentro il museo), ma la decontestualizza permettendone l’esistenza in diverse dimensioni[3] avvicinandola a nuovi tipi di pubblico.
Accanto le digital technologies un altro caposaldo del Forum sono state le pratiche di gamification e storytelling, sempre più nominate e diffuse, che sottintendono ai nuovi progetti museali. Come nel caso della ricostruzione multimediale del Museo della Valle del Tevere, realizzata con la collaborazione dell’artista digitale di fama internazionale Franz Fischnaller. Il progetto consiste in un’installazione di Realtà Virtuale, costituita da tre enormi schermi di fronte i quali il visitatore usa solo i movimenti del proprio corpo per avviare i contenuti ed esplorare gli scenari 3D.  L’opera diventa una macchina del tempo che trasporta lo spettatore tra i villaggi di capanne dell’VIII secolo, tra le abitazioni della colonia romana di Lucus Feroniae o nelle stanze della bella Villa dei Volusii di epoca augustea. «L’idea – ha spiegato Eva Pietroni, ricercatrice del CNR e responsabile scientifico del progetto – è nata quasi tre anni fa per far conoscere quella zona dell’antica Roma, ricca di risorse ma poco frequentata. Per farlo abbiamo pensato a una modalità nuova, puntando su una chiave di lettura evocativa ed emozionale, dove la tecnologia ha un ruolo fondamentale per veicolare importanti messaggi». Il Museo diventa un ambiente immersivo crossmediale dove le nozioni archeologiche e storiografiche vengono acquisite attraverso il linguaggio del cinema e del videogames proprio facendo leva sulla dinamica ludica e quella della preponderanza della narrazione.
La progettualità che è dietro l’utilizzo di questi strumenti digitali, è in linea con il cambiamento di paradigma che ha visto il trasformarsi della tradizionale esperienza di fruizione passiva in un’esperienza performativa e col rilievo via via crescente che la teoria delle arti moderne ha dato al ruolo dello spettatore[4]. Il museo quindi da tempio delle arti e luogo di contemplazione è concepito come organismo sensibile che trova nell’interazione tra opera d’arte e visitatore la sua logica più evidente[5]. Superando il principio del vietato toccare, ora anche il pubblico entra in gioco, diventando – come dice Georges Dyens – spett-attore, figura ibrida di spettatore attore e creativo[6]. È in questo passaggio che l’esperienza ludica si coniuga con lo stimolo cognitivo, se lo spettatore è messo nella condizione di articolare la sua relazione con l’opera, avrà sia la motivazione di una migliore conoscenza della stessa sia il desiderio di cooperare creativamente alla sua evoluzione[7]. Finora si è trattato tuttavia di un’interattività quasi sempre molto elementare, le tecnologie elettroniche, e la rete in primo luogo, hanno cominciato a rendere praticabili forme di interattività molto più radicali che ora possono veramente esaltare e arricchire l’esperienza del visitatore[8].


Note

[1] «La manifestazione, nata online, è stata organizzata dal coordinamento ‘No Somos Delito’ per protestare contro una legge che entrerà in vigore il primo luglio prossimo e permetterà al governo di sanzionare chiunque decida di manifestare pubblicamente. Sostenuta dal Partito Popolare spagnolo è stata criticata dalle opposizioni che l’hanno definita ‘Ley Mordaza’, ovvero Legge Bavaglio. Gli ologrammi dei partecipanti sono stati realizzati attraverso il sito www.hologramasporlalibertad.org dove gli utenti hanno potuto registrare le proprie grida  di protesta o scannerizzare il proprio corpo. Le immagini digitali sono poi state proiettate di fronte al Congresso. (…) Si tratta della prima manifestazione al mondo realizzata in questo modo» La Repubblica online, 12 aprile 2015.
[2] Dichiarazione di Sebatian Chan, direttore del Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum di New York, in Susanna Legranzi, Il museo diventa partecipativo in Nòva, Il Sole 24 ore,  3 maggio 2015.
[3] Davide Spallazzo, Alessandra Spagnoli, Raffaella Trocchianesi, Il museo come organismo sensibile. Tecnologie, linguaggi, fruizione verso una  trasformazione design-oriented, Dipartimento INDACO – Politecnico di Milano, 5 maggio 2010.
[4]  Marie Rebecchi, Sull’interattività. Conversazione con Pietro Montani in Alfabeta2, dicembre 2014.
[5]  Op. Cit. Tecnologie, linguaggi, fruizione verso una  trasformazione design-oriented.
[6] Andrea Balzola, Per un uso politico, pedagogico ed estetico dell’interattività. Breve nota sulle relazioni attuali e possibili tra nuovi media nella società e nell’arte in Ateatro n.115, 2 febbraio 2008.
[7] Ibidem.
[8] Cfr. Pietro Montani, Tecnologie della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva, edizioni Cortina, 2014.

 

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