FABRIZIO COSCIA, SOLI ERAVAMO

Tutte le vite straordinarie sono vite comuni. Non è vero il contrario. E questo precetto –fondamentale, giacché lo straordinario ci riguarda sempre –, basterebbe a racchiudere il senso di questo libro. In un’intervista Louise Ferdinand Céline[1] dichiara di aver «messo la pelle in gioco, perché non dimenticate una cosa: la grande ispiratrice è la morte. Se non mettete la vostra pelle sul tavolo, non avete nulla. Uno deve pagare. Quello che è fatto senza pagare sa di gratuito. Allora avrete scrittori gratuiti». In Soli Eravamo, il presagio céliniano è un fil rouge, un’enfasi dai contorni quasi paradossali[2] che a tratti ci fa sorridere, altri commuovere ma puntualmente ci restituisce l’umanità celata dietro le esistenze di coloro che, grazie a quella pelle sacrificata, ci parlano delle manie, delle fughe e dei deliri, dell’imprevedibile che è di tutti. FABRIZIO COSCIA, SOLI ERAVAMO

CARLOS D’ERCOLE, VITA SCONNESSA DI ENZO CUCCHI

Quodlibet, Macerata, 2014.

Un’analisi lucida e puntuale dell’opera di un artista comporta un rischio, quello di prescindere, paradossalmente, la sostanza che si cela al di là di un gesto pittorico, di un segno. È necessario compiere un passo ulteriore, valicare la disamina formale e spingersi nell’indagine di ciò che è nient’altro che umano. Una tale pratica deve essere distinta dal resoconto di gesta rocambolesche, di vite al limite; si tratta piuttosto di operare una riflessione profonda e critica sul pensiero dell’artista, sulla personale concezione di vita e dunque sulle ragioni del fare artistico. D’altro canto, cedendo all’eccesso opposto, si rischia di produrre una sterile impalcatura biografica, anch’essa pericolosa. CARLOS D’ERCOLE, VITA SCONNESSA DI ENZO CUCCHI