LIVE PERFORMERS MEETING COME STAZIONE CREATIVA

di Arianna Forte

Caleidoscopiche immagini elettroniche, coreografie di luci epilettiche, simmetrie astratte palpitanti e flussi di bit tradotti in grafiche minimali

miscelate con la cadenza sincopata di musiche sintetiche, hanno invaso per una settimana gli schermi del Nuovo Cinema Aquila e ridisegnato con fasci luminosi colorati la sua facciata. Allo stesso tempo artisti da tutto il mondo – Europa , Giappone, Russia, Africa, ect.- alcuni con vesti eccentriche, altri con trolley, cavi e laptop, hanno affollato le strade del Pigneto dal 28 al 31 maggio scorso.
Così si è presentata l’edizione romana del 2015 del Live Performers Meeting: il simposio made in Italy delle arti e culture digitali, un unicum nel panorama nazionale – per diffusione, longevità ed entità- che oramai dal 2004 è un punto di aggregazione per la comunità intercontinentale di vj, creativi e performer multimediali.
LPM si consacra all’interazione e fusione tra nuove e differenti forme di espressione artistica basate sulle tecnologie digitali, in particolare alla Video Live Performance. Difatti la storia della manifestazione va di pari passo con la genesi di quello che può essere considerato un nuovo linguaggio multimediale ed è fortemente connessa con lo sviluppo del Vjing e con la sua diffusione in Italia.

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LIVE PERFORMERS MEETING
La peculiarità del LPM non è solo quella di dare spazio ad un linguaggio innovativo e sinestetico, ma sta soprattutto nella sua necessità di essere un meeting, per l’appunto. Un incontro. Non esattamente un festival, anche se centinaia sono le performance che hanno luogo. Difatti per poter partecipare non c’è una selezione qualitativa ma basta l’intenzione di uno scambio di esperienze artistiche e di conoscenze.
Le radici del meeting partono dalla diffusione senza scopo commerciale di FLxER, un software Open-Source di mixaggio video. Attorno a questo strumento nasce una community di utenti, i FLxER Abusers, che si scambiano saperi, materiali video, conoscenze e contribuiscono al suo sviluppo. Dalla socializzazione virtuale si passa all’esigenza vera e propria di incontrarsi fisicamente. Così nel 2004 a Roma si organizza il primo Live Performers Meeting1.
Negli anni LPM si è spostata in giro per l’Italia, l’Europa e anche oltre, creando un enorme network di eventi e occasioni di incontro. La sua community si è ampliata enormemente e si trasforma in continuazione. Ad oggi è un evento consolidato come una full-immersion in cui dal primo pomeriggio alla mattina si susseguono performance, workshop e presentazioni di progetti di ricerca o di team creativi.
Nel suo essere un’esperienza collaborativa e partecipativa corrisponde esattamente a quello che Paolo Rosa e Andrea Balzola definiscono «modello alternativo di processo sociale e culturale»2. Nel loro manifesto per l’era post- tecnologica, i due autori auspicano la creazione di stazioni creative, centri capaci di stimolare, diffondere e fare emergere la creatività diffusa, sovvertendo le dinamiche del mercato e dello sviluppo economico. Sperimentazione, ricerca e libertà di espressione sono il motore fondante di un modello che è innanzitutto educativo e partecipativo.
LPM diventa l’occasione in cui tecnologie offrono la possibilità di sperimentare nuove esperienze percettive e diverse modalità di relazioni con gli altri, all’insegna della pratica del dono: l’arte ha il diritto di non essere produttiva di essere un atto gratuito «ritorna a circolare nell’organismo-umanità come il sangue circola nell’organismo umano» rigenerandolo continuamente3.

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COS’È LA VIDEO LIVE PERFORMANCE?
La pratica del Vjing consiste nel manipolare in tempo reale un flusso di immagini video-proiettate seguendo l’andamento ritmico della musica. È un fenomeno artistico multimediale, che promuove la mobilità e l’aleatorietà tra confini di generi o discipline: si possono ritrovare aspetti del cinema, della musica e del teatro. Il cuore di questa convergenza è l’interattività, e le modalità nella quale si realizza sono performative.
Il Video Live ha difatti ridefinito il modo di concepire (e soprattutto di fruire) l’immagine in movimento nell’epoca digitale.
Una fortissima continuità con l’avanguardia e, soprattutto, con la neoavanguardia cinematografica è rintracciabile nelle logiche irriverenti e anticonvenzionali delle sperimentazioni visive che la caratterizzano. Colore, luminosità, linee e forme sono il pretesto per modulare sequenze video, secondo logiche di ricombinazione estemporanee e semi-casuali, in analogia alle dinamiche della drammaturgia musicale4. L’esperienza di visione e d’ascolto assume un carattere fisico e performativo, inserita in una dinamica creativa profondamente immersiva e sinestetica. Mediante l’uso delle tecnologie digitali il processo di fluidificazione e di sintesi dei linguaggi ha raggiunto la sua massima potenzialità espressiva. Così «si sviluppa una dimensione potenzialmente liberatoria dell’immaginario, una sorta di esperienza estatica collettiva che fa saltare i codici audiovisivi e comportamentali stereotipati in una libera e imprevedibile associazione sensoriale»5


Note

1 FlyerCommunication FLExER.net- Il progetto-Il software-La community.
2 Rosa e Balzola, ibidem p.25.
3 ibidem p. 50.
4 Nicola Dusi, Lucio Spaziante, Remix – Remake. Pratiche di replicabilità, 2006, Meltemi.
5 Andrea Balzola, Paolo Rosa, L’arte fuori di sè. Un manifesto per l’era post- tecnologica, 2011, Feltrinelli, p.114.

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