CONVERSAZIONE (IN)ATTUALE

di Emanuela Murro

a Noemi

(L’ambiente è sobrio, tuttavia elegante. Carmelo Bene siede su una poltrona. 

Si accende una di quelle sigarette al mentolo che ricordo aver visto fumare in uno show televisivo. È cortese, sorride. Veloci convenevoli , mi dice di far presto. Può concedermi solo trenta minuti. La tensione si allenta. Dal momento che manca da un po’ – dico – vorrei aggiornarla su quello che è successo.
Cominciamo.)
Recentemente, la Camera ha approvato “La Buona Scuola” (Legge 13 luglio 2015, n. 107). Riassumendo, quello che si contesta maggiormente di questa legge è che l’autonomia del docente, la sua libertà d’insegnamento, pur garantita dalla Costituzione (cfr. Art. 33), è influenzata dal rapporto di dipendenza con il dirigente scolastico. Conferire un tale potere, potrebbe significare l’esercizio di una censura sulla scelta di argomenti relativi a quanto previsto nei programmi ministeriali ma, ipoteticamente, ritenuti dal dirigente non idonei allo sviluppo culturale degli studenti.
La cultura ahinoi… cultura è erudizione, dottrina, sapere, conoscenza eccetera eccetera eccetera… ma, attenzione, la cultura nel suo etimo – l’ha rilevato assai bene anche Jacques Derrida – equivale a colo dal verbo “colo” colonizzare; cioè cultura è tutto quanto è colonizzazione (per non parlare poi della depravazione culturale che è l’informazione. L’informazione poi è nociva perché il giornalista è il prete medium, è lo scandalo sacrista, pari a quello ecclesiale).
La cultura è sempre stata circondata dalla cosiddetta santa ignoranza, ora questo non lo è più, perché con le scuole dell’obbligo fino ai 14-15 anni dove nulla s’apprende. “Studére” vuol dire desiderare, mentre “schola” – la scuola, è la palestra nel suo etimo – vuol dire ozio, oziare.
Quindi il desiderio non ha nulla a che fare con la scuola, né lo studio ha da fare con la scuola tanto meno con le scuole europee non parliamo di quella italiota va bene? Dove si vuol tradurre Dante in italiano giornalistico, certamente il ministro alla pubblica distruzione non se ne scandalizza; invece sarebbero da arrestare questi cervelli davvero défilé.
Non c’è più questa santa ignoranza; è rimasta questa ignoranza che è arrogante casalinga; questo opinionismo di massa vanitoso che si sciorina – ahimè – invece come da lavandaia nei talk show televisivi e basta1. Quindi questo po’ di alfabetizzazione ha creato una massa una volta… diciamo nemmeno tanto poi così disposta alle elezioni, cioè ad eleggere. Questi hanno detto: siccome alla camera e al senato sanno appena firmare, questa è la loro alfabetizzazione. Sono degli ignoranti, voi lo sapete va bene? Da zombi rispettabili, ma lo sapete meglio di me. Lo sono sempre stati. […] Ecco quindi queste masse hanno fatto dei conti un po’ maldestri siamo retti e governati da una massa di ignoranti di imbecilli, di persone antiestetiche, cioè di non persone estetiche, non hanno nemmeno un’etica da rivendere. […] Ma a questo punto votiamo, votiamo votiamo.
A furia del voto voto votato, sono votato, facciamoci votare, facciamoci eleggere. Sono passati a candidarsi, tanto appena alfabetizzati non rimane che candidarsi pur di non far niente.
È questa la fine dell’Italietta, dello stivale dell’Europeina ecco… del mondicino: quello di essere passato da elettore a candidato a eletto “tanto siamo pari”2.

Nel 2002, anno della sua dipartita, a capo del governo c’era Silvio Berlusconi. ( II Governo Berlusconi, 11 giugno 2001- 23 aprile 2005). Riepilogo, brevemente, i governi che si sono alternati fino ad ora. III governo Berlusconi (23 aprile 2005 – 17 maggio 2006)
II governo Prodi (17 maggio 2006 – 6 maggio 2008)
IV governo Berlusconi (8 maggio 2008 – 16 novembre 2011)
Governo Monti (16 novembre 2011 – 27 aprile 2013)
Governo Letta (28 aprile 2013 – 21 febbraio 2014)
Governo Renzi (dal 22 febbraio 2014)
Democrazia, nel senso di Hobbes che la chiamava demagogia. Ebbe la fortuna di chiamarla col termine giusto, ma adesso non caschiamo nel solito sociale, nel mondano, nei dolori privati, pubblici. Parleremo di assistenzialismo… […] Non mi interessano gli italiani, ecco. Qualunque governo, come qualunque arte, tutta l’arte è borghese, tutta l’arte è rappresentazione di Stato. E’ statale, è uno stato che si assiste fin troppo se no alla mediocrità chi ci pensa? La mediocrità par excellence è proprio lo Stato. […] Lo Stato si occupa della mediocrità della burocrazia cioè 65 milioni di italiani, 65 milioni di italiani, da imbecilli cioè italiani votano questo Stato che è il loro stato di cose. Quello che è Stato è stato e quindi non è stato mai. I fatti non sono, se non nella stampa e nelle sue falsificazioni o omissioni e informazioni dei fatti – ripeto – e non mai sui fatti. […] Ma certo bisogna che vi rassegnate a non mentirvi, a non prendervi sul serio perché voi noi non siamo, siamo in quello che ci manca, non siamo in quello che siamo.3
Eccessi “divertiti” a parte, l’attualità delle nostre repubbliche, costituendo di per sé calamità autosufficiente, si compiace sottoscrivere terremoti e stragi, ostentando “sollecito” e accanito interventismo crocerossino. […] E, come se non bastasse, cotanto delittuoso pronto soccorso, le sagrestie democratiche al governo si prodigano incoscienti alla smodata esuberanza della specie, esorcizzando “malasanità, sterilità e impotenza collettiva, abusi profilattici, apatia coeundi, industrialità seriale di “mafiosi”. […] E qui lo Stato d’oggi ha tutto da imparare. Lo Stato non ha etica. E’ una combutta politica che persegue ferocemente l’unico obiettivo: la conservazione di se stesso. Distribuisce iniquità e soprusi, fa dell’ingiustizia il metodo e della forza lo strumento per applicarla. Lo Stato è anche un comitato d’affari: deve essere economicamente forte per sopravvivere. Alimentare il terrore fiscale tra le sue votanti fottute vittime è la necessaria predoneria di ogni governo-tiranno che non si rispetti. Lo chiamano “Ragion di Stato” questo sistematico saccheggio. Le democrazie sono timide, ma non meno feroci. Disprezzano le masse, ne hanno schifo e paura, per questo le vezzeggiano. Lo Stato (pubblico e privato) ha consegnato le sue televisioni alle masse, ne ha fatto il loro godereccio letamaio dove rivoltolarsi a tempo pieno.4
Ma vi domando io: cosa garantisce la democrazia che una dittatura non possa garantire? Certo garantisce qualcosa, ma lo sapete qual garantisce la invivibilità della vita. Non risolve la vita. Chi sceglie la democrazia, chi sceglie la libertà, sceglie il deserto se la democrazia fosse mai libertà. Ma la democrazia non è niente, è mera demagogia. Qualora noi meritassimo una libertà, dovrebbe essere l’affrancamento dal lavoro e non occupazione sul lavoro. Anche se “non si scappa mai”, “on n’echappe pas à la machine”; non si sfugge dalla macchina uscendo dalle otto ore di catena di montaggio. Non si scappa uscendo dalla catena di montaggio. La macchina, il montaggio, la catena di montaggio diventa più forte nella vostra strada che percorrete poi nel tram, poi in auto, poi a casa, in famiglia…aumenta ancora. Si fa sentire l’oppressione della catena di montaggio. Si fa sentire il nulla della vita, questa pressione durissima “on n’echappe pas à la machine” non si sfugge alla macchina, non solo nella famiglia, financo nel lavoro, nella rivoluzione. “Nell’amore soprattutto si sente” diceva Deleuze “nella rivoluzione ancora di più e soprattutto la catena di montaggio si sente, si risente ossessiva nell’entusiasmo”5.

Alla fine del 2014, il governo Renzi ha stanziato quaranta miliari di euro, con la legge di Stabilità, da investire sull’occupazione, assieme ad una riforma legislativa, il Jobs act. Tuttavia, le aspettative sono andate deluse. L’occupazione non è aumentata.
Io ho sempre suddiviso – a parte che ho gestito diversi sciagurati seminari sul lavoro – in tre categorie. C’è il lavorio, premetto a me non interessa mai il cittadino va bene? L’importante lì che paghi le tasse eccetera basta, ma l’uomo e quindi il lavorio è quello di Dino Campana “il fabbricare fabbricare fabbricare fabbricare fabbricare fabbricare preferisco il rumore del mare che dice fare e disfare è tutto un lavorare ecco quello che so fare”, ecco questo è il lavorio. Il lavoro di che è fatto? Dovrebbe essere fatto l’uomo, ma l’uomo è sottratto dalla sua umanità. Perché? Perché gli è imposto. Nessuno glielo impone davvero, comunque gli si impone. Il lavoro. Il lavoro come posto di lavoro alle poste, al telefono, al catasto. C’è questa utilità non inutile. L’ l’arte è inutile. Non è che se un impiegato al catasto ti consegna un documento che è stato richiesto, appena ti consegna il documento tu l’applauda. Non v’è plauso, ecco. Augusto in punto di morte centenario disse “ho recitato bene ho bene orato plaudete”, cioè applauditemi. Il più grande criminale della storia che per tenere Roma in pace aveva devastato il mondo intero , per tenere quattro gatti nel lusso più sfrenato a Roma. Quindi il posto di lavoro, ma è vero che il lavoro, in genere, è l’esistenza senza scopo per colmare il vuoto dell’esistenza senza scopo. L’uomo deve occuparsi. E poi c’è il dopo lavoro che sarebbe l’affrancamento, l’ora d’aria. Sarebbe il CRAL. Queste sono le tre dimensioni del lavoro. Quindi a parte senza scopo, perché un minatore debba lavorare pagare un costo così alto, cioè non arrivare all’età di trent’anni nelle saline o nelle miniere in Sardegna anche in profondità dove gli scoppieranno – gli scoppiano – i polmoni per meno di un milione al mese, questa è un’infamia. È un’infamia che soltanto una democrazia – sì è vero che la nostra costituzione recita in overture essere la repubblica italiana una democrazia, una repubblica fondata sul lavoro- ma il lavoro è un dovere.
Semmai un dover essere , un dover dell’essere, ma non è un diritto ma col ricatto della famiglia perché bisogna tra virgolette “mantener su una famiglia” e allora ecco mettere su famiglie. C’è un Papa che veramente farebbe meglio a stare zitto; predica sempre, invoglia al lavoro, al massacro, a rovinarsi, a morir giovanissimi. Ripeto, io non posso che invitare a disertare il lavoro, a controllare le nascite, a fare qualcosa, non farsi padri. Nessuno è padre a un altro. Le madri veramente ritengano la maternità un veicolo delle nascite, ma contenerle. Ma proprio basta basta basta con la specie! Basta con questo abuso, con questo eccesso della specie umana. Non si può lavorare in un posto di lavoro solo per morire o solo per mangiucchiare appena una volta la sera. Mi ripugna talmente che preferisco chiudere l’argomento6.

È notoria la sua idiosincrasia verso la stampa ed i media in generale. Nel 2004, nasce Facebook, un social network, una “rete sociale”, ossia: una piattaforma per internet che consente di comunicare in maniera rapida e semplice ad un gruppo di individui legati o meno da relazioni sociali reali e tangibili, dove prevalgono gli aspetti dell’interazione e della condivisione. Negli ultimi anni, queste piattaforme hanno conosciuto un vero e proprio “boom”, tanto che quotidiani e la televisione non costituiscono più la principale fonte d’informazione.
Diceva trent’anni fa già Jacques Derrida “non informa mai sui fatti” anche perché i fatti non accadono mai. Aristotele docet;”non conta la veridicità di un fatto accaduto, ma il convincimento che il messaggero di questo fatto riesce a trasmettere”. Quindi i fatti non contano. Poi c’è un discorso sull’atto e l’azione, magari lo affronteremo meglio dire ci affronterà sono sempre le cose, è sempre un esterno che ci visita. Noi siamo visitati. Il discorso non appartiene, lo ripeto per l’ennesima volta, all’essere parlante e dunque da eternamente Nosferatu, ormai cioè vivo ahimè per sempre.7
I fiutascoregge di Rabelais allo sprezzante guinzaglio del signore di baciaculo, ovvero il conduttore-conducente. Ma anche si trattasse di comunicatori più “abilitati”, il grosso equivoco di questo fesso bla-bla resterebbe intatti. E, con l’equivoco, la volgarità che si porta dietro8. […]L’equivoco della comunicazione si deforma riflesso nell’arroganza immaginaria dell’informazione (in che s’attarda la risibilità indecente delle sue cronache ignoranti di una Storia abortita?). E’ tutta una rappresentazione della rappresentazione. L’una dentro l’altra, come certi incubi specchiati. […] Siamo ben lontani dall’intestimoniabile. In balia del ridicolo, il ghigno di un dio demenziale e perverso9. […] Tornando alla dissennata loquacità dei nostri giorni, meglio sarebbe scaraventare, dentro gli studi pazzi, a casaccio, ma non ce ne sono poi tanti…abbiamo solo clonazione sterminata di amebe, di tic, senza nessuno che li abiti, vittimismo senza vittime. Straconvinti di esserci. Raccontano e dialogano, dunque non sono. Cogito, ergo sum. Dico=dicitur. Attori prosoni e spettatori virtuali del mondo come volontà e rappresentazione.10
Che miseria, nevvero, che miseria, l’ostentazione risibile del così detto opinionismo nella straripante società dello spettacolo, delle zuffe tv, nelle tribune politiche elettorali, nei convegni accademici, e nei sempre audiovisivi intrattimentacci dove ciascuno a turno è straconvinto di dire proprio la sua11.
Anche quando si monologa, fuori dallo specchio o a specchio infranto, non hai niente da dirti. E’ come dondolarsi su un’amaca in un paesaggio cartolinato, ennesima perversione-Huysmans12.
E’ un precipitato di opinionismo. Tutti hanno diritto alla parola e alla prima pagina. Vecchie trombe, o cazzeggianti mezzecalzette dell’ultim’ora. La più derelitta casalinga è sollecitata a esprimere un’opinione su tutto. Sul curdo e sul pedofilo, sulla morte di Strehler e sull’ennesimo Lassie che torna a casa. Opinionista di che? Opinionisti di massa. […] Colpevole è la società dello spettacolo. Hai voglia di aver vanamente soppresso il ministero dello spettacolo dalla presidenza del consiglio dei ministri. Siamo nel massimo della merda. Oltraggioso e indecoroso13.

Mi avvisano che il tempo a mia disposizione volge al termine. Mi alzo. Mentre ci stringiamo di nuovo la mano, mi lascia così:
C’è bisogno davvero di miti, c’è bisogno davvero dell’impossibile. Quello che noi siamo, la vita è impossibile la vita è invivibile, e così c’è bisogno anche che l’arte sia davvero irrespirabile, non sia più consolatoria, non abbia del tragico, non abbia il decorativo, non ne abbia veramente la maschera puttanesca della consolazione14.
Nell’identità, scorreggiona del teatrino occidentale, patronale, del testo a monte, prosternati davanti alla morale del senso, alla strisciante servilissima venerazione dei ruoli, all’insensatezza psicologica, alla verità verbale coniugata alla più insulsa stucchevole frenesia del moto al luogo, alla rappresentazione insomma dei codici di stato, come se a tanta indecenza non provvedesse la virtualità della vita tout court. Non c’è soluzione, perché non basta soltanto non essere ignorantissimi, è non esserci che è indispensabile15.
Non ascolto e non mi ascolto. Non mi interessa più informarmi, né essere informato da chi (che) mi parla. Perché? L’Altro è morto. La tua stessa prossimità mi è aliena. L’atarassia non è solo il fine di ogni scontato giudizio di valore, è la sospensione che sospende anche se stessa, il collasso dell’ultima membrana dell’ultimo timpano. Parole o residui di parole si rinnegano e annegano al momento della stessa emissione di fiato che li alimenta16.
Non sono qui per essere inteso io, anche ci provaste 1000 volte, cari zombi non vi riuscirebbe mai, perché io sono l’oblio17.

Un ringraziamento particolare alla Dott.ssa Monica Palliccia (Fondazione L’ Immemoriale di Carmelo Bene) per la disponibilità e la cortesia, a Jamila Campagna per la realizzazione del ritratto di Carmelo Bene, un inaspettato, e gradito, regalo. A Roberta B. e Roberta S. e loro conoscono il perché.


Note

1 Carmelo Bene, da MTV “Sushi”, 1999.
2 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show, “Uno contro tutti”, 1995.3 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994.
4 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 140-141.
5 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994.
6 Carmelo Bene, da MTV “Sushi”, 1999.
7 Carmelo Bene,da Maurizio Costanzo Show, “Uno contro tutti”, 1995.
8 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 143.
Ibidem, pg 144.
10 Ibidem, pg 146.
11 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1995.
12 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 144.
13 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 77.
14 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994.
15 Carmelo Bene, da “Quattro momenti sul nulla. Primo momento, il Linguaggio”, Rai Due 2001.
16 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 387-88.
17 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1995.

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