NUOVI ARRIVI, NUOVE STORIE. INTERVISTA A BIANCO-VALENTE

a cura di Gaia Palombo

Nell’ambito dei festeggiamenti dell’Ottantesimo Anniversario della Fondazione della città di Pontinia, il MAP Museo Agro Pontino ha presentato l’installazione site-specific Nuovi arrivi, nuove storie del duo artistico Bianco-Valente, a cura di Marianna Frattarelli.
Nuovi arrivi, nuove storie, è il completamento della Residenza artistica nella città di Pontinia avvenuta lo scorso luglio e si compone di 26 bandiere colorate sopra gli edifici che si affacciano su Piazza Indipendenza.
Riportiamo di seguito l’intervista che ci hanno rilasciato.

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La ricerca artistica che portate avanti si fonda su uno stretto legame con i territori con cui interagite e su un forte approccio antropologico; ci raccontate, in questo senso, la vostra esperienza in una città come Pontinia?
La curiosità per questi territori era nata già precedentemente al nostro arrivo a Pontinia la scorsa estate, avevamo infatti terminato da poco la lettura di un famoso libro di Antonio Pennacchi; l’interesse si è sviluppato poi sempre di più con il tempo, su più livelli.
Il fenomeno linguistico è stato il primo aspetto che ci ha colpito e da cui è nata la nostra riflessione: data l’affluenza di coloni provenienti da varie regioni d’Italia – Veneto e ferrarese inizialmente, in un secondo momento anche dalla Calabria e dalla Sicilia – si è andata formando una lingua nuova, frutto di questa commistione. Interessante è stato inoltre appurare che anche le tradizioni legate al cibo, in particolare la preparazione in occasione delle feste, variano a seconda della famiglia d’origine.
In una prima fase di residenza abbiamo chiesto di incontrare le persone più anziane che avevano memoria dell’arrivo a Pontinia. Abbiamo avuto modo di parlare con i figli dei primi coloni a cui erano stati assegnati dei poderi: alcuni ricordavano vagamente, in particolare riportavano reminescenze dei racconti in famiglia di quello che era stato il viaggio o le condizioni di vita nel luogo dal quale provenivano. Abbiamo raccolto testimonianze sulla vita nei poderi, sul tipo di attività che venivano avviate in città; ad esempio ci hanno parlato di un deposito per biciclette, all’epoca molto diffuse, concepito nella città di Pontinia per coloro che, in particolare per ragioni lavorative, usavano spostarsi in bicicletta. Durante le nostre visite a Pontinia abbiamo inoltre avuto modo di conoscere e coversare anche con i membri della comunità indiana, insediata in città ormai da circa quindici anni.

Nuovi arrivi, nuove storie conferma la grande attenzione che nella vostra ricerca riservate all’architettura. Qual è stato il vostro rapporto con la dimensione architettonica di Pontinia?
Apprezziamo la rarità e il fascino delle città di fondazione quali Pontinia, Latina e Sabaudia: luoghi concepiti da zero, a partire da un progetto ben definito; inoltre l’architettura razionalista che le caratterizza, per noi appassionati della disciplina, è un aspetto fondamentale. Nuovi arrivi, nuove storie deve molto alle suggestioni dell’architettura, che in questo caso diventa medium divulgativo: una volta estrapolate frasi emblematiche dai racconti acquisiti, abbiamo voluto restituirli alla comunità collocandoli, mediante l’uso di bandiere, sugli edifici che circondano la torre comunale. Ci ha colpito l’imponenza simbolica di questa torre dalla quale svetta la bandiera italiana e sui cui è riportata un’iscrizione che intima a difendere il territorio e a lavorare la terra; un monito simbolo del potere politico. Nella parte bassa, che corrisponde agli edifici su cui è collocata l’installazione, risiede invece la dimensione della piazza, dove la comunità agisce, si incontra, vive. Se da un lato dunque l’iscrizione attesta una storia istituzionale, dall’altro c’è l’ abbraccio degli edifici circostanti le cui bandiere raccontano una microstoria, che dal privato – particolare si fa pubblico – universale. Una connotazione poetica, se vogliamo, è il fatto che solo il vento può rendere fruibili le frasi riportate sulle bandiere ed è come se ne diffondesse il senso come fa con suoni e odori.

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Questo vostro intervento site-specific ha in questo momento storico, tragicamente segnato dal fenomeno delle immigrazioni, particolare rilevanza; a questo proposito avete riscontrato un’integrazione sufficiente della cittadinanza con la comunità indiana?
Al loro arrivo, questi nuovi coloni hanno sopperito alla mancanza di manodopera nei campi, andando dunque a sostituire il lavoro che una volta svolgevano i primi coloni di questi territori. Attualmente, oltre a coloro che lavorano nei campi, c’è chi ha intrapreso attività commerciali in negozi di vario genere. Sebbene l’integrazione sia compiuta, c’è ancora chi mantiene il desiderio di tornare in patria; tuttavia riteniamo interessante il fatto che una buona parte dei nuovi coloni indiani stia costruendo il proprio futuro in questa città, costituendosi a tutti gli effetti come cittadini di Pontinia. Parlando con la comunità indiana abbiamo notato una netta differenza nei racconti dei primi arrivati, che avevano avuto un impatto certamente più duro, e le seconde generazioni, quelle che ad oggi sono nelle condizioni di mettere definitivamente le radici.

È interessante la contaminazione di testimonianze e individualità che da una parte possono sembrare diverse e distanti, dall’altra, se vogliamo, molto simili. Durante il periodo di realizzazione dell’opera, qual è stato il criterio di scelta per la selezione delle frasi degli intervistati? Avete riscontrato similitudini nei racconti dei coloni?
Le conversazioni sono durate tanto e in tutte c’erano elementi che ricorrevano: atmosfera, paesaggio, estrema povertà. Abbiamo scelto frasi simboliche come “Le scarpe ricucite”, “I panni rammendati passati ad altri”, “Andare a piedi nudi per non consumare le scarpe” in quanto emblemi dal tono poetico di un vissuto comune.
Tra le battute che ci hanno profondamente colpito c’è: “Una penna in regalo per non fare il lavoro nei campi”, dal racconto di una bambina di origine indiana che al suo arrivo in aeroporto ha ricevuto dal padre una penna in dono come simbolo di riscatto. Tra i “vecchi” e “nuovi” coloni ricorrevano delle frasi in comune, spesso riguardanti le aspettative mancate: “Non era tutto ciò che ci avevano promesso”, “Quando verrà il dopo?”.

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IL MURO intervista Bianco Valente – Nuovi arrivi, Nuove storie – MAP Museo Agro Pontino from IL MURO on Vimeo.

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