ASCANIO CELESTINI. LA BARZELLETTA È UN ANARCHICO CHE NON PUO’ MORIRE

recensione e foto di Jamila Campagna

La barzelletta è un anarchico che non può morire. Così come pure il teatro è un anarchico che non può morire: tra pandemia e distanziamento sociale lo spettacolo dal vivo torna sul palco e tra gli eventi di questa strana estate c’è stato lo spettacolo Barzellette di Ascanio Celestini, per la seconda serata del Festival di Villa Adriana per Tivoli 2020.

Celestini porta in scena la storia del ferroviere con in mano il suo brogliaccio di barzellette, un registro in cui ci cade dentro la verità accanto alla farsa grottesca, i minima moralia accanto alle esagerazioni, il sacro appresso al dissacrante ancora appresso al sacrilego, tutte le volte che il corpo batte per ricordare che sta attorno all’anima, quando la memoria privata, personale, si rimpone come Storia collettiva.

Che Celestini era un fuoriclasse lo sapevamo già, 90 minuti su quel palco – lasciando intravedere la ragionevole piacevolezza di essere di nuovo lì – con le parole che gli escono dal petto e si mettono una in coda all’altra in una scrittura teatrale perfetta; lui così imperturbabile e delicatissimo e pure estremo – con quel discorso che è un’esegesi delle barzellette mentre le barzellette sono l’esegesi della vita – ci mette le mani dentro e rimescola qualunque cosa.
Contro una scenografia minimale, seduto su una panchina nella sala d’aspetto di una stazione, con un quadretto appeso che potrebbe anche essere una di quelle vedute che stavano negli scomparti da 6 dei vecchi Intercity, quelli in cui dopo 8 ore di viaggio, ginocchi contro ginocchi e occhi negli occhi, i passeggeri diventavano in automatico tutti parenti di primo grado; seduto su una panchina il ferroviere aspetta il suo superiore e parla con il suo unico interlocutore che non gli risponde mai, suona e basta e dice le cose con l’eloquenza del musicista.
Carabinieri, militari, suore, preti, tomber de femme, galline e uova si inseguono nell’instancabile circo della vita, strappando il non-sense alla logica e togliendosi la soddisfazione dell’epifania in mezzo al caos, della lampadina che si illumina e all’improvviso è tutto chiaro.
Mentre ci si avvicina alla mezzanotte del 2 agosto, la stazione ferroviaria ideale non può che trasformarsi in quella di Bologna: i binari spariscono, si fanno tutti sotterranei in una spaventosa rimozione di vittime e colpevoli, alla vigilia dei 40 anni dall’attentato che squassò il cuore dell’Emilia Romagna e dell’Italia. Spariti i binari, sparita la stazione, restano i biglietti pagati di posti a sedere in carrozze di treni che quei viaggiatori non hanno preso mai. E se il treno è il pendolo dei lavoratori fuori sede e dei vacanzieri in partenza, è pure la prima tappa delle deportazioni naziste: l’attore si fa grammofono delle parole di Tatiana e Adra e della loro deportazione, là dove sta la pietà, lo strazio, il ricordo e la ricerca del sollievo.
Uno spettacolo che è un ricettario di campionature umane e un ricettacolo di sentimenti: Celestini sa come parlare per far ridere e cosa dire per far commuovere. Ridere… Commuovere, muovere assieme, una platea attenta e seduta al suo posto, felice di riprendersi il piacere dell’arte performativa, partecipe nel suo status corale di pubblico.
Tutto sopra la panchina di una stazione ferroviaria, dove troviamo noi stessi mentre aspettiamo Dio.

Barzellette
con
Ascanio Celestini
musiche eseguite dal vivo di
Gianluca Casadei
primo agosto 2020
Tivoli 2020 – Festival di Villa Adriana

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