LA FORZA DELLE ROVINE

di Gaia Palombo

Nel capolavoro di Wim Wenders, Il Cielo Sopra Berlino, ricorderemo sicuramente l’anziano Homer vagare in una distesa incolta cercando l’amata, vecchia Potsdammer Platz; o la riflessione di Peter Falk passando per la stazione di Anhalter Bahnhof: «Non la stazione dove fermano i treni, ma la stazione dove si ferma la stazione». La Berlino fantasma di Wenders, attraversata dall’insanabile ferita della guerra, è l’emblema stesso della rovina: un malinconico rudere, un monumento, seppur tragico. Di fronte ad esso l’uomo, eterno Angelo della storia, posa il suo sguardo languido, tenta di ritrovare un’identità. È proprio partendo dall’idea di incompletezza, sull’impresa sempiterna dell’uomo di far convivere il presente con un passato che esiste ancora materialmente, che ha origine

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Massimo Siragusa, Twentynineseconds, Onna (Abruzzo), 2009. Fotografia

La forza delle rovine, mostra promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale romano e l’area archeologica di Roma, con Electa, a cura di Marcello Barbanera e Alessandra Capodiferro, presso Palazzo Altemps a Roma. Una mostra ambiziosa che si pone come unicum nella città capitolina, la cui complessità è un invito alla riflessione, all’indagine nei vari livelli di lettura snodati sul piano interdisciplinare. Come suggerito dal titolo, l’intento è quello di presentare il concetto di rovina nella sua valenza bipolare: da un lato sinonimo di decadenza, dall’altro una forza del passato in cui rintracciare radici, memoria. La struttura stessa di Palazzo Altemps, palinsesto su cui nei secoli si sono succeduti restauri e dunque delle testimonianze, racchiude in sé l’essenza della mostra, come spiegato dalla direttrice Alessandra Capodiferro.

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Torso di Polifemo, I-II secolo d.C., marmo, alt. 100 cm, Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps, Archivio fotografico SS_COL

La forza delle rovine ospita centoventi opere provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane e straniere; di particolare rilevanza è la presenza, oltre alle consuete pitture e sculture, di opere di fotografia, cinema – quest’ultima, disciplina egregiamente trattata in mostra -, di letteratura e musica. Il percorso tra le nove sezioni di cui si compone l’esposizione, dunque, approfondisce da una moltitudine di punti di vista un tema interpretato in tempi, luoghi e personaggi più diversi. La concezione di rovina dall’antichità fino ai tempi moderni, sebbene tenda a cambiare in base a innumerevoli fattori, assume un andamento che potremmo definire circolare, analogo all’incedere storico. A confermare la tesi è il dialogo intessuto non solo tra le opere di diversa natura in mostra, ma anche tra queste e quelle appartenenti alla collezione permanente di Palazzo Altemps.
È nel filo rosso che mette in comunicazione le immagini delle macerie di Beirut fotografate da Gabriele Basilico con il sublime senso di grandezza del passato tipico delle opere di Giambattista Piranesi, che risiede la vera chiave di lettura. Interessante la nota del curatore Barbanera, che tiene a sottolineare come la figura del Piranesi visionario, comunemente diffusa, sia distante da quella proposta ne La forza delle rovine, per far emergere altresì il lato dell’artista da egli definito prototopografo, che delinea l’anatomia dei monumenti, ne indaga la struttura scavando come un archeologo. Su questa direzione, il percorso espositivo non intende, retoricamente, porre l’accento sulla suggestione malinconica, fine a se stessa, che la rovina conferisce, ma riflettere sullo status materiale di quest’ultima; rovina che abbandona la categoria ideale e, in quanto frammento di qualcosa che non esiste più, genera dal suo non essere una nuova esistenza, un nuovo intero pienamente legittimo. Se prendessimo come riferimento il discorso di Walter Benjamin, per il quale il metodo del montaggio è una via per una possibile ricostruzione, partiremmo proprio dall’incompiuto, dai cosiddetti stracci che il filosofo, per l’appunto, invitava a usare. Questi non sono segni iconici, simboli che vivono di associazioni convenzionali, di rimando tra forma e contenuto; al contrario, le forze contrastanti in essi racchiuse si esplicitano in un’estetica lacunosa.
In ultima analisi, ne La forza delle rovine lo scenario distopico della contemporaneità, che vede il declassamento del rudere in rottami e macerie, convive con l’iconografia di un’antica città in rovina, benché sia manchevole, forse, di fascino romantico. A mutare, piuttosto, è la persistenza della rovina, per la quale il tempo è necessario e conferisce un’identità solida; nell’orizzonte dromoscopico della modernità, al contrario, la maceria è inghiottita da un tempo troppo veloce, consumata da un futuro che la esclude perché scomoda, disarmonica. L’ultima sezione della mostra, (Ri)costruire le rovine, pone dunque una questione interessante e ancora aperta: quale rapporto esiste tra l’archeologia e la modernità? E allora, quale sarà l’archeologia di domani?

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Massimo Siragusa, Agrigento,Tempio della Concordia, 2007. Fotografia

Contestualmente alla mostra verranno organizzati quattro incontri al Teatro Argentina. Nel mese di novembre, i giorni 8 e 22, si sono tenuti La rovina della Bellezza – la bellezza delle rovine e Caduta e ricostruzione della Polis. Prossimi appuntamenti saranno a gennaio con Rovina e forza della Terra (10 gennaio) e Il Pensiero in rovina (17 gennaio). Tra i protagonisti confermati figurano Luciano Canfora, filologo e storico, e Jan Fabre, artista e regista teatrale. Le conversazioni sono a ingresso libero con prenotazione a community@teatrodiroma.net

LA FORZA DELLE ROVINE
7.10.2015 – 31.01.2016
A cura di Marcello Barbanera e Alessandra Capodiferro
Promotori:
Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma in collaborazione con Electa.
Palazzo Altemps
Piazza di Sant’Apollinare, 46, 00186 Roma
Aperto tutti i giorni dalle 9 alle 19.45.
Chiuso il lunedì (eccetto lunedì in Albis e durante la settimana della cultura), 1 gennaio, 25 dicembre.
La biglietteria chiude alle 19.00.

In copertina: Yves Marchand e Romain Meffre, Window, Packard Motors Plant, Detroit, 2005, Parigi, Galerie Polka © Yves Marchand & Romain Meffre, courtesy Polka Galerie

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