FESTIVAL ETHNOS. MUSICA, CULTURA E TERRITORIO

di Jamila Campagna

Il Festival Ethnos, giunto alla sua ventesima edizione, sotto la direzione artistica di Gigi Di Luca, ha dato vita a un interessante percorso musicale e culturale attraverso otto Comuni del territorio vesuviano: inaugurato il 10 settembre al Teatro Mercadante di Napoli, con l’esibizione della Bollywood Masala Orchestra (India), il Festival, finanziato dall’Assessorato al Turismo della Regione Campania, si è dislocato tra San Giorgio a Cremano, Ercolano, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Boscoreale, Boscotrecase, Somma Vesuviana, San Sebastiano al Vesuvio e San Giorgio a Cremano, che ha ospitato la tappa conclusiva del 27 settembre, con il concerto dei Tartit (Mali) e di Bombino (Niger). Originariamente ideato per promuovere e divulgare le tradizioni dell’area vesuviana, il Festival ha con il tempo assunto carattere internazionale creando una rete tra la musica folkloristica e le culture arcaiche di tutto il mondo, diventando momento di integrazione e confronto attraverso il fare artistico. Nell’edizione 2015, accanto a una selezione di musicisti d’eccellenza (tra cui: Bombino, Evi Evan, Moni Ovadia, Tartit, Bassekou Kouyate & Ngoni Ba, Huun Huur Tu, Teresa De SioSöndörgo), il programma del Festival ha offerto una serie di itinerari storico artistici e naturalistici che hanno creato un legame con le risorse del territorio, con un taglio fortemente interdisciplinare: visite guidate sui sentieri del Parco Nazionale del Vesuvio, nei siti archeologici e presso musei, oltre a visite teatralizzate nelle ville vesuviane settecentesche, degustazioni di prodotti tipici, convegni, seminari sulle danze popolari.

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Il 19 settembre abbiamo preso il Vesuvio come punto di riferimento lungo la strada e siamo andati a scoprire da vicino lo spirito del Festival Ethnos; nel pomeriggio, i Synaulia si sono esibiti in una performance musicale e didattica presso l’Antiquarium di Boscoreale, a seguito di una visita guidata del museo curata dalla Pro Loco La Ginestra di Boscoreale. La sera, dopo la visita guidata negli spazi di Villa Favorita a Ercolano, il Festival si è spostato nella residenza estiva di Villa Favorita, sempre a Ercolano, il cui parco raggiunge il mare.

È qui che si sono esibiti gli Söndörgo (pronuncia: Sciöndörgò), band ungherese a conduzione familiare. I membri del gruppo sono tre fratelli Áron Eredics, Benjamin EredicsSalamon Eredics, un cugino, Dávid Eredics, e il migliore amico dei quattro, Attila Buzás. Provenienti da Szentendre, città ungherese vicina a Budapest, i cinque ragazzi propongono una musica folklorista che esce dai ranghi della tradizione ungherese più conosciuta, per dare spazio a quella tradizione sonora minoritaria della musica slava del sud, che nasce dalla commistione della cultura serba e croata ed è conservata e divulgata in alcune zone dell’Ungheria. Tutti polistrumentisti e diplomati in musica classica, gli Söndörgo, portano sul palco una quantità incredibile di strumenti: fisarmoniche, percussioni, strumenti a fiato e strumenti a corde. Tra questi ultimi si notano le caratteristiche Tambura, piccoli strumenti a corde molto simili a mandolini, che producono sonorità terse e acute, modulabili a seguire il respiro di ogni canzone. Questo strumento è quasi il simbolo della band, rappresenta la loro idea di rendere contemporanea la tradizione e ad esso si ispira il titolo del loro ultimo album, Tamburocket (pubblicato nel 2014, è il secondo distribuito su scala internazionale).

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Intensi, virtuosi e professionali, gli Söndörgo sul palco si divertono moltissimo e si vede; le loro buone energie sono travolgenti e si diffondo sia nelle canzoni più ritmate che in quelle più lente, fatte di vibrazioni corpose, meditative. Questa gioia del fare musica mi viene confermata da Áron Eredics a fine concerto: contro la bellissima parete a mosaico celestevitreo dell’ingresso della dependance marina di Villa Favorita, Áron sorride, ancora pieno di forze nonostante l’ora tarda e la stanchezza post-concerto, e parla a ruota libera; mi dice «Sembra incredibile perché siamo così giovani, ma sono venti anni che suoniamo insieme! Nostro padre era un musicista e la casa era piena di strumenti. Era impossibile non imparare a suonare!» e poi aggiunge «è bello suonare tra fratelli e amici stretti, si crea una sorta di alchimia. Sul palco, basta uno sguardo tra noi e sappiamo già esattamente cosa fare».

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Poi mi parla dell’emozione di suonare in un luogo storico, della gioia di essere stati presenti in Italia al Festival Ethnos, del loro ultimo disco, di come hanno studiato musica classica per poi tornare a suonare musica folk. Perché è una questione di radici, di vissuto personale e collettivo, di passato che incontra il presente e si apre al futuro. è una questione di divulgazione della conoscenza e della cultura, perché una tradizione è viva solo quando è tramandata.

«la forza di Ethnos sta anche nel raccontare l’attualità e in particolare le problematiche dell’immigrazione e il bisogno umanitario di accogliere chi emigra. Facendo musica incrociamo gli sguardi, i segni di un linguaggio che non è altro che la lingua universale della pace e dell’arte».
Gigi Di Luca
Direttore artistico Ethnos Festival

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